sabato 11 maggio 2019
Il maltempo non ha rovinato la festa. Tra le immagini simbolo di queste tre giornate intense, la fanfara delle penne nere sulla metropolitana e gli stand nella cittadella dietro al Castello Sforzesco
Milano alpina, l'Adunata dei record. In 500mila per la sfilata finale
COMMENTA E CONDIVIDI

Una fanfara alpina nel vagone del metro. Ottoni, trombe, tamburi e grancassa allineati e coperti sulla linea verde tra Cadorna e Moscova. Suonano il "Trentatre", la marcia alpina idealmente cadenzata con il suono degli scarponi che rimbomba su uno strapiombo di roccia. Qui c’è solo lo sferragliare del metro ma, sorprendentemente, le note seguono bene il ritmo delle fermate e delle ripartenze. Una trentina a suonare. Sono i congedati delle cinque brigate alpine. E il resto dei viaggiatori ad ascoltare in silenzio e poi ad applaudire.

Ecco, se volessimo trovare un’immagine simbolo per queste giornate di alpinità milanese, la fanfara delle penne nere in metro si candiderebbe senz’altro al podio. Non al primo posto forse. Per quello dovremmo attendere la grande sfilata di oggi, le sue suggestioni, la sua nostalgia, le sue emozioni. E i numeri che si annunciano da record. Almeno un 100mila a sfilare, almeno 400mila, forse più ad accompagnare con gli applausi e con le lacrime il lungo corteo che per sette, otto ore oggi trasformerà Milano in uno straordinario e gigantesco palcoscenico di italianità senza retorica e senza ideologia.

Una ribalta iperbolica di storia tricolore e di ricordi, di impegno civico e di progetti segnati dal grande cuore delle penne nere. Prima la bandiera di guerra, poi sui mezzi militari, i reduci della Seconda guerra mondiale, pochi certo, perché con l’anagrafe non si può scendere a patti. Un capitolo obbligatorio per non dimenticare il passato di un’associazione come l’Ana che nasce da un corpo militare. Ma che nel suo secolo di storia - questa è l’adunata del centenario - non è stata solo stellette e signorsì. Se gli alpini sono così amati, se le adunate da almeno mezzo secolo sono soprattutto festa di popolo, se il ritrovarsi insieme di decine e decine di migliaia di persone ha il sapore di una celebrazione amichevole e attesa, di una rituale allegria, di una rimpatriata simpatica, è proprio per la densità di significati che si concentra nell’essere e nel sentirsi alpini. Piú che militari. Alpini, e per sempre. Cioè cittadini a tutto tondo. Consapevoli e impegnati.

Sarà così anche oggi per la lenta sfilata delle 80 sezioni e dei 4.500 gruppi, prima le sezioni straniere, che arrivano quindi da più lontano. Poi via via quelle italiane. Per chiudere con la sezione ospitante, quella milanese che, per aver tenuto a battesimo l’associazione in quel lontano 1919, tra le ferite e le distruzioni di una guerra appena conclusa, è un po’ la sezione madre delle penne nere. E quanto Milano ami le penne nere e ne sia profondamente e quasi devotamente riamata si è visto in questi giorni. In tutti i momenti che hanno scandito la tre giorni alpina, l’abbraccio della popolazione è sempre stato generoso e spontaneo. Il culmine forse nella cittadella degli alpini allestita dietro il Castello Sforzesco.

Uno dei colpi di genio di questa organizzazione che è riuscita a concentrare tra le aiuole e i viali di parco Sempione passato e presente delle truppe alpine. Impegno militare e volontariato civile. Decine di stand, di mezzi, di strutture, di uomini e di donne con la penna nera. Più che cittadella aula di storia patria, con il museo delle penne nere schierate su tutti i fronti dal 1872 a oggi. Epopea di imprese belliche, eroismo, valore e sacrifici tra la guerra del 1912 e le presenze di pace dei nostri giorni, Afghanistan, Medio Oriente, Balcani.

E poi lo stand con le "battaglie civili" sul fronte delle tragedie naturali del nostro Paese. Penne nere e nomi che risuonano lugubri nell’anima di tutti, Vajont, Friuli, Stava, L’Aquila, Amatrice. Ieri, davanti ai grandi cartelloni che sintetizzavano lo slancio generoso delle penne nere per soccorrere le popolazioni colpite dalla calamità, alpini con i capelli bianchi non riuscivano a trattenere le lacrime. Emozioni forti e momenti gioiosi, come sempre nello scorrere della vita, anche negli altri spazi della "cittadella".

Un po’ luna park con i bambini trepidanti sul ponte tibetano e nel recinto dell’addestramento (tiro a segno, sci sull’erba, corsa). E poi dentro i carri armati e sui grandi mezzi del genio militare. E un po’ percorso civile con le indicazioni per comprendere i segnali premonitori di un terremoto, per evitare gli incendi, per comprendere come gli alpini riescono ad intervenire in tempi brevi con le loro strutture collaudatissime di protezione civile, con il loro ospedale da campo (file lunghissime per visitarlo), con i loro reparti cinofili. C’è tutto questo e ancora di più alle spalle del Castello, in questa cittadella delle meraviglie (oggi le ultime ore per visitarla) ma anche nel resto della cittá con tutte le iniziative messe in campo.

Leggi anche:

Cento anni con gli alpini

Quel cappello, un padre, una gente. (Il sangue antico e buono dell'Italia)



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: