sabato 27 novembre 2021
Le aziende predispongano nuove versioni dei loro vaccini, aggiornate rispetto alle caratteristiche molecolari delle varianti che emergono. Intanto si insista su mascherine, distanziamento, igiene
Aggiornare i vaccini, sì. Ma continuare a proteggerci

Ansa

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È stata convocata ieri d’urgenza una riunione presso l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per valutare i primi dati sulle caratteristiche biomolecolari, l’infettività, la patogenicità e i pericoli pandemici di una nuova variante del betacoronavirus Sars-Cov-2, identificata recentemente in un focolaio a grappolo in Sudafrica. La variante è stata già rilevata anche in Botswana e a Hong Kong tra alcuni viaggiatori provenienti dal Sud Africa. Limitazioni nei collegamenti aerei con questo e altri Paesi africani sono state introdotte in Italia e in diversi stati europei. La 'variante di preoccupazione' Voc è indicata con la sigla B.1.1.529 ed è stata denominata dall’Oms con la lettera greca Omicron.

Le ragioni di forte preoccupazione suscitate dall’insorgenza della B.1.1.529 (imprevedibile come ogni altra variante, perché dovuta a mutazioni casuali e ricorrenti nel genoma virale) è legata sia al numero elevato delle mutazioni (circa cinquanta in tutto, di cui trentadue nella proteina Spike coinvolta nel meccanismo di ingresso del virus nelle nostre cellule), sia alla posizione degli aminoacidi sostituiti nella struttura della Spike nei suoi punti riconoscimento utilizzati dagli anticorpi neutralizzanti, indotti negli ammalati oppure dagli attuali vaccini. Questi domìni strutturali, chiamati epitopi, sono localizzati in quattro regioni della Spike e la nuova variante B.1.1.529 ha mutazioni importanti in tutte queste quattro regioni che consentono agli anticorpi di attaccare il virus e prevenire le conseguenze dell’infezione. Se le loro proprietà chimicofisiche cambiano, l’interazione protettiva degli anticorpi con il virus è sfavorita o può addirittura affievolirsi molto. Il timore – per ora solo una ipotesi, nessun esperimento lo ha confermato (ma gli studi sono iniziati) – è che «gli anticorpi dei guariti e dei vaccinati fatichino a riconoscere il nuovo ceppo, e quindi ci proteggano meno», come ha ricordato, tra gli altri studiosi, Alessandro Carabelli, direttore di un gruppo di ricerca del consorzio inglese Cog-Uk che monitora costantemente le varianti di Sars-Cov-2.

Appare quindi prudente ed urgente che, da una parte, le case produttrici predispongano nuove versioni dei loro vaccini, aggiornate rispetto alle caratteristiche molecolari delle varianti che emergono, in particolare di quelle, come la B.1.1.529, che presentano numerose mutazioni negli epitopi riconosciuti dagli anticorpi indotti dai loro vaccini, e non si limitino a constatare e pubblicizzare il persistere di una pur ridotta efficacia dei lotti attualmente in distribuzione. È comprensibile – ma non giustificabile nella drammatica emergenza ancora in corso – che la logica commerciale voglia vedere smaltire una produzione in atto e delle scorte esistenti a fronte di nuovi costi per la validazione, approvazione e sintesi su larga scala di versioni aggiornate del vaccino. Ma il bene comune, in questo caso a livello mondiale, dovrebbe prevalere su interessi di parte e profitti industriali. D’altro canto, la medesima prudenza ed un robusto principio di precauzione suggeriscono che, a fronte di un pericolo virologico che potrebbe sfuggire alla profilassi vaccinale, si (ri)porti in primo piano la necessità di una rigorosa e puntualmente normata e controllata adozione della profilassi con i mezzi di barriera (mascherine portate correttamente su naso e bocca, preferibilmente di tipo Ffp2, e distanziamento sia al chiuso che all’aperto) e con l’igienizzazione scrupolosa del corpo e degli ambienti e mezzi di trasporto. Le notizie che giungono dal Sudafrica non sono rassicuranti: nelle zone in cui è stata identificata la B.1.1.529 il tasso di positività è salito, nelle ultime tre settimane, da meno dell’1% al 30%. Nei tamponi molecolari positivi, la nuova variante è già presente in oltre il 75% dei casi, apprestandosi a rimpiazzare completamente e in breve tempo la variante Delta sinora dominante. L’esperienza di quest’anno rivela come, per una variante dalla forte contagiosità (la Delta lo ha mostrato chiaramente), difficilmente i focolai restano circoscritti nella parte del mondo in cui essa è insorta. Il betacoronavirus del Covid-19 è cosmopolita per natura.

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