giovedì 23 settembre 2021
È giusto, sicuro, raccomandabile vaccinare adolescenti e bambini contro il Covid-19? La questione agita i pensieri di tanti genitori. Ecco cosa dicono gli studi più recenti
La vaccinazione di un bambino

La vaccinazione di un bambino - MASSIMO PERCOSSI / Ansa

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È giusto, sicuro, raccomandabile vaccinare adolescenti e bambini contro il Covid-19? La questione agita i pensieri di tanti genitori. L’argomento è delicato, perché ragioni scientifiche si mischiano a questioni etiche, in un clima caratterizzato da sospetti, paure, informazioni spesso incontrollate e contraddittorie, dove orientarsi e fidarsi diventa esercizio complesso.

A chi dovrebbe credere un genitore se, ad esempio, un pediatra sconsiglia il vaccino e altri lo raccomandano, se gli esperti di un Paese esprimono un orientamento e quelli di un altro sembrano dire l’opposto, se Internet offre tutto e il contrario di tutto alimentando un dibattito che può essere paragonato al confronto tra i tifosi di squadre di calcio?

Proviamo a capirci qualcosa.

In Europa l’Agenzia del farmaco (Ema), dopo aver valutato i risultati di uno studio su quasi 6mila ragazzi, ha autorizzato l’impiego di due vaccini, Pfizer-Biontech e Moderna, per i giovani a partire dai 12 anni. Questo significa che entrambi i preparati hanno dimostrato di funzionare, cioè sono in grado di prevenire la malattia grazie a una risposta anticorpale significativa, e soprattutto di essere sicuri perché possono far insorgere solo alcuni e lievi effetti collaterali.

I dubbi nascono nel momento in cui si provano a valutare i limitati rischi del vaccino in rapporto ai pochi danni che il Covid può procurare agli adolescenti sani.

L’evidenza mostra che i 12-17enni, come tutti, dopo il vaccino possono avere disturbi lievi, come dolore al braccio, febbre, brividi… sintomi minimi che si risolvono in brevissimo tempo. L’effetto collaterale che genera più ansia tra i genitori è la possibilità che emergano miocarditi o pericarditi, cioè infiammazioni del cuore o della membrana che lo avvolge. Si tratta di pochi casi per milione e ne sono interessati più che altro i giovani maschi dopo la seconda dose. Nella stragrande maggioranza dei rari casi in cui si è presentato, il disturbo è rientrato in pochi giorni, talvolta è stata necessaria una cura a base di antinfiammatori.

Una recente ricerca statunitense (in fase di prestampa e non sottoposta a revisione tra pari) ha rilevato che i ragazzi tra i 12 e i 15 anni avrebbero 4-6 volte più probabilità di andare incontro a una diagnosi di miocardite dopo il vaccino Pfizer che di finire in ospedale a causa del Covid. Lo studio ha contato 162 casi per milione di dosi nella fascia 12-15 anni e 94 per milione in quella 16-17. Tuttavia la ricerca si limita ad indicare la diagnosi registrata sulle cartelle cliniche senza specificare la gravità dei sintomi. Qualche dubbio è stato manifestato riguardo all’affidabilità dei dati: in Gran Bretagna ad esempio i casi di miocardite registrati sono stati 6 per milione di dosi, e per l’autorità inglese del farmaco tutti i ragazzi interessati hanno mostrano solo sintomi leggeri rientrati in pochi giorni.

Il secondo argomento che può alimentare il dubbio riguarda il fatto che i bambini sani non sembrano ammalarsi in modo serio di Covid-19: i casi di ricoveri in terapia intensiva o di decessi interessano quasi esclusivamente bambini con fragilità evidenti, come cancro, disturbi cardiaci, diabete, malattie renali. Perché dunque, ci si chiede, non vaccinare solo chi è più a rischio? E lasciare sia la malattia a immunizzare in modo naturale i ragazzi? Mentre non è ancora del tutto chiaro quale sia la migliore protezione anticorpale, se quella del vaccino o della malattia, è vero che tutti gli studi mostrano che sotto i 17 anni chi si contagia o non manifesta sintomi oppure tende a sviluppare una forma leggera della malattia. Questo però non vuol dire che il rischio sia zero. Anzi.

Una preoccupazione riguarda gli effetti del long-Covid: un ampio studio britannico pubblicato sulla rivista “The Lancet Child & Adolescent Health” ha mostrato che il 4,4% dei ragazzini che avevano contratto il Covid-19 aveva ancora sintomi dopo 4 settimane, perlopiù affaticamento (84%), mal di testa o perdita dell’olfatto (78%). E l’1,8% ha avuto sintomi per più di due mesi. Il long-Covid, insomma, è raro, risulta molto più contenuto nei minori rispetto agli adulti, ma, come ha spiegato Sir Terence Stephenson, autore principale dello studio, si manifesta e può dare “sintomi persistenti anche diverse settimane dopo la malattia”.

Un altro motivo per temere il Covid negli adolescenti è l’aumento registrato dei casi di Sindrome infiammatoria multi sistemica (Sims o Mis-C), soprattutto con la diffusione della variante Delta, diventata predominante. Si tratta anche qui di effetti lievi, ma ci sono stati casi di complicanze gravi. Uno dei motivi che ha spinto i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti (Cdc) a raccomandare la vaccinazione ai 12-17enni lo scorso maggio riguarda non solo il tasso di ospedalizzazione registrato per questa fascia di età, 51 casi ogni 100mila abitanti, ma anche il fatto che sulle 3.742 segnalazioni totali di sindrome infiammatoria multi sistemica, il 21,5% abbia interessato adolescenti.

Anche per quanto riguarda le miocarditi, la “sfida” tra vaccino e Covid resta aperta. Un altro studio americano diffuso a fine luglio (non sottoposto a revisione), ha rilevato che negli adolescenti maschi il rischio di andare incontro a infiammazioni cardiache può essere sei volte superiore tra chi si ammala di Covid rispetto a chi si è vaccinato. La ricerca, effettuata sulle sole cartelle cliniche, ha stimato 450 casi per milione di miocarditi tra i ragazzi che hanno sviluppato il Covid.

Che si tratti di long-Covid, di Sims, di miocarditi da vaccino o da Covid, parliamo in ogni caso di eventi rari e che producono sintomi lievi nella stragrande maggioranza dei casi, mentre resta difficile dire se lasceranno o no strascichi nel lungo periodo.

Il peso dei rischi e dei benefici è un esercizio complesso, come si evince dalle relazioni presentate ai governi dagli organismi tecnici e scientifici di vari Paesi. Valutazioni che non sempre sono state riportate con completezza.

Il presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico italiano (Cts), Franco Locatelli, ha detto chiaramente che l’ago della bilancia pende a favore del vaccino anche agli adolescenti, invitando a non fare allarmismi sui bambini. L’associazione dei pediatri italiani, di fronte al fatto che con la variante Delta si è avuto un forte aumento dell’incidenza dei casi pediatrici, è della stessa opinione: “Se è vero che il Covid in età pediatrica ha manifestazioni importanti rare - ha spiegato la presidente della Società italiana di pediatria, Annamaria Staiano - queste non si possono escludere. In Italia abbiamo avuto 700mila bambini colpiti dal Covid, di cui 3mila sono stati ricoverati e 30 sono morti, anche se in questo caso erano presenti altre patologie”.

Quanto al Comitato di bioetica, si è espresso tra le altre cose contro l’obbligatorietà del vaccino ai ragazzini, ma ha suggerito di difendere la volontà del minore di vaccinarsi chiedendo che l'adolescente “sia informato che la vaccinazione è nell'interesse della sua salute, della salute delle persone prossime e della salute pubblica”.

In Francia il Comitato Consultivo Etico Nazionale (Ccne), in un parere espresso a fine giugno, ha invece affermato che il beneficio individuale dai 12 ai 15 anni c’è, ma “è molto limitato”, perché “i casi di malattia grave da Covid sono rari, mentre non ci sono studi sulla sicurezza del vaccino somministrato in questa fascia di età”. Il Comitato francese ha però anche rilevato che ci può essere “un beneficio indiretto” nel vaccinare gli adolescenti, perché se questi non fossero più veicoli d’infezione, allora potrebbero essere risparmiate loro quelle restrizioni delle relazioni che hanno procurato loro moltissimi problemi di salute mentale, dalla depressione ai disturbi del sonno. Il Ccne parla anche di “vaccinazione altruista”: l’immunizzazione dei più giovani per compensare la quota di adulti che non intendono vaccinarsi, e dunque per frenare la circolazione del virus e proteggere i più fragili tra i loro coetanei, nelle altre fasce di età, chi non può vaccinarsi e le donne incinte.

Ad aver introdotto un elemento nuovo è stata la variante Delta, più contagiosa e anche capace di “bucare” lo scudo vaccinale. Si deve anche a questo il ripensamento della Stiko, la Commissione tedesca per le vaccinazioni del Robert Koch Institute. In un primo parere aveva affermato che non era il caso di spingere sulla vaccinazione nella fascia di età 12-17, salvo per i soggetti a rischio. Poi, ad agosto 2021, la Commissione ha deciso di raccomandare la vaccinazione per tutti i ragazzi alla luce “di nuovi dati quantitativi sulla sicurezza della vaccinazione e sugli effetti della malattia”, anche considerando il positivo effetto indiretto sulle altre fasce di età.

Le preoccupazioni degli esperti dei diversi Paesi si ritrovano nel parere del Comitato per le vaccinazioni e le immunizzazioni (Jcvi) britannico, organismo indipendente di consultazione del governo, secondo il quale non sarebbe necessario vaccinare i 12-15enni, dato che “il margine di beneficio”, pur essendoci, “è troppo piccolo per giustificare la vaccinazione di massa”. L’organismo ha spiegato che tra i bambini sani “solo” 2 su un milione finiscono in terapia intensiva, contro i 100 su un milione tra chi ha problemi di salute, e dunque la vaccinazione può essere consigliata solo a questi. Gli esperti britannici hanno però chiarito che l’orientamento non tiene conto dei danni che possono essere procurati agli adolescenti dalla chiusura delle scuole a causa della pandemia o dall’interruzione delle relazioni sociali. Valutazione che – hanno spiegato - spetta ad altri.

Uno degli argomenti a favore dell’”esenzione” dei giovani dal vaccino, in chiave di massima precauzione, si fonda sull’idea che l’immunità di popolazione può essere raggiunta anche senza di loro. Posto che questo poteva valere prima della comparsa della variante Delta, e oggi non più, appare abbastanza contraddittorio difendere il diritto di non vaccinarsi per gli adulti e poi battersi per esentare anche i giovani. Non a caso il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in un rapporto del giugno 2021, ha invitato a considerare l’immunizzazione dei gruppi di età più giovane in particolare alla luce dell’incidenza del Covid-19 nella popolazione e di quanto si è riusciti a vaccinare le altre fasce di età.

Le valutazioni scientifiche e/o politiche evolvono a mano a mano che emergono nuove evidenze e nuovi studi, come è logico che sia. La spinta che tutti i governi dei principali Paesi stanno imprimendo a favore del vaccino agli adolescenti tiene conto di molti fattori e di un contesto in evoluzione. La prudenza che tanti genitori hanno manifestato di fronte a notizie incerte e contrastanti può essere capita, anche se col procedere delle inoculazioni la convinzione circa la sicurezza dei vaccini si sta radicando nella popolazione. Volendo ricorrere all’immagine dei due piatti della bilancia si potrebbe dire che in fatto di reazioni avverse da vaccino e di danni da Covid le ragioni pro o contro l'iniezione possono indicare un pareggio, in un contesto in cui si parla comunque di effetti rari e lievi, come ha ben sintetizzato un editoriale recente su “The Lancet”.

A far pendere l’ago a favore della vaccinazione ci sono però molti altri elementi: dato che la variante Delta è molto più insidiosa per tutti, compresi i neonati, i giovani e i vaccinati fragili – negli Stati Uniti un’infezione su cinque ormai si manifesta in età pediatrica, e i ricoveri di bambini sono in aumento ovunque – ecco che con un maggior numero di adolescenti protetti si abbasserebbe anche il rischio di contagio tra loro e di possibili problemi sanitari maggiori per gli stessi ragazzi.

Inoltre diminuirebbero le probabilità di chiusure delle scuole o di nuove limitazioni alla socializzazione, dalle attività sportive alla cultura. Il tema della salute mentale di una generazione che ha già pagato un prezzo elevatissimo alla pandemia ha un peso che non va sottovalutato nel decidere se vaccinare o no i propri figli.

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