sabato 25 novembre 2017
«Il sindacato ha il dovere di affrontare anche fenomeni estremi come l’utero in affitto o la tratta umana»
Annamaria Furlan

Annamaria Furlan

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Il dialogo con Annamaria Furlan inizia da come desidera essere definita: segretario o segretaria? Non una pignoleria, visto il tema dell’intervista: «Sono una donna, quindi naturalmente segretaria generale della Cisl. Il cambiamento passa anche attraverso il linguaggio. Credo sia una questione di tempo, più avremo donne che svolgono ruoli un tempo ritenuti maschili, più anche il linguaggio si adeguerà. È importante, perché questo sforza i cervelli di tutti, anche attraverso una battuta di spirito, a condividere un mondo in cui uomini e donne paritariamente svolgano i diversi ruoli».

Cambiare le desinenze può essere solo maquillage, però.
Certo, ma senza dubbio gli aspetti culturali legati al rispetto dei generi sono importanti per combattere la discriminazione: se iniziassimo a declinare al maschile e al femminile tutti gli aspetti del reale, daremmo una mano significativa. In questi anni nel mondo occidentale c’è stata una regressione spaventosa della convivenza nel rispetto delle donne, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Da qualche anno lo stalking è divenuto reato, eppure la norma permette di uscirne pagando una somma in denaro.
È una cosa inaccettabile, ma questa modifica per fortuna la stiamo portando a casa. Un fenomeno così diffuso e tragico, che spesso sfocia nella violenza e addirittura nell’omicidio, non può essere monetizzato, e bene hanno fatto le donne e tanti uomini di questo Paese a battersi perché questa possibilità, pur riservata ai casi meno gravi, venisse cassata. Non scordiamo che in molti casi di femminicidio, l’esordio è stato proprio lo stalking.

Media, cinema, tivù a parole proclamano la dignità della donna, ma continuano a proporne un’immagine declassante e subalterna.
E questo fa parte della rapida regressione di cui parlavo. La tivù pubblica e privata, ma anche tutte le espressioni culturali, devono fare la loro parte, diffondendo valori positivi e stigmatizzando quelli lesivi della dignità della donna.

Sui social le tante storie condivise con l’hashtag 'quellavoltache' hanno portato a galla un sommerso doloroso e diffusissimo di piccole o grandi molestie sul posto di lavoro. Siamo ancora così immaturi?
Secondo l’Istat i ricatti sessuali sul lavoro in Italia colpiscono più di un milione di donne, ma è solo la punta dell’iceberg. È necessario attuare un’attenta vigilanza e in questo anche la contrattazione ha un suo ruolo importante: prima di tutto educativo, e poi nell’organizzazione del lavoro e nella cura della professionalità. Anche i dati valoriali che possiamo inserire nella contrattazione aiutano la crescita del rispetto.

La Giornata contro la violenza sulle donne rischia di incentrarsi sulle piccole molestie e di non voler vedere le grandi sopraffazioni. Penso ad esempio alle donne prostituìte, le schiave di oggi.
La schiavitù è ancora ben presente nel mondo, anche a pochi metri da noi. Ci sono centomila donne, persino ragazzine, vittime della tratta umana e costrette a vendere il loro corpo nel nostro Paese. Si tratta di veri e propri stupri, per questo come Cisl abbiamo deciso di sostenere la campagna promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Benzi per aiutare queste schiave a ritrovare la libertà: in tanti Paesi del Nord Europa la piaga è stata sconfitta punendo il cliente e bene hanno fatto i Comuni di Firenze e di Rimini ad applicare la stessa ordinanza. La libertà sessuale di andare con le prostitute è una 'libertà' esercitata nei confronti di chi libera non è.

Capitolo utero in affitto: la forma più abietta di utilizzo della donna, addirittura di compravendita del suo corpo e della sua maternità, oltre che del figlio partorito.
Questi temi si devono affrontare con determinazione. Stiamo drammaticamente imparando a convivere con fenomeni terribili, ma l’indifferenza e l’accettazione sono il male peggiore. L’assuefazione rende accettabile l’inaccettabile e ci ruba la capacità di indignarci. Un sindacato ha il dovere di affrontare anche fenomeni estremi come l’utero in affitto o la tratta umana, altrimenti non partecipa a creare un mondo migliore.

Tema aborto. Quante donne non sono messe nella condizione di scegliere davvero? Quante donne ci raccontano che nessuno le ha aiutate, che nessuno ha nemmeno provato a rimuovere le cause della loro disperata decisione… Frettolosamente instradate all’interruzione di gravidanza, nonostante la legge 194 prescriva tutt’altro. Forse è questa la violenza più diffusa e taciuta.
Tutto questo credo sia frutto di una mancanza generale di cultura della vita. Ormai purtroppo, e lo vediamo con tanti riferimenti, la priorità della scelta della vita, della tutela della vita, della qualità della vita, è un elemento che diventa secondario, per le persone e per le istituzioni. Aiutare queste donne a prendere un indirizzo alternativo è prioritario e doveroso, ma se diventa solo una prassi modulistica e lì si ferma è segno di un degrado complessivo. Le avventure dolorosissime di queste madri purtroppo ben si inquadrano in un contesto in cui il valore della vita è sempre più marginale: ad esempio siamo un Paese in cui la mortalità sul lavoro è ancora altissima e la sicurezza è vista come secondaria. L’impegno per la civiltà è residuale, meno male abbiamo tanto volontariato, laico e soprattutto cattolico, che in teoria dovrebbe essere di sussidiarietà, in realtà sostituisce quasi del tutto le lacune istituzionali.

La Giornata di quest’anno è salita alla ribalta per le esternazioni di attrici che rievocano antiche e recenti molestie… Non c’è il rischio di oscurare le storie di tante donne vessate, umi-liate, ricattate nei posti di lavoro e tra le mura domestiche, offuscando il vero dramma?
È vero, ma le denunce uscite da donne famose hanno scosso l’albero: se note attrici hanno raccontato che è successo pure a loro e hanno reso pubblica parte della loro vicenda, forse da oggi molte donne meno famose, piegate da violenze inconfessate, troveranno il coraggio di dire: adesso basta.

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