sabato 29 dicembre 2018
Diversi luoghi di culto inagibili anche nell'arcidiocesi di Catania. La comunità cristiana si organizza per fare fronte alle tante difficoltà
Tende allestite dopo il terremoto (Genia/Consoli)

Tende allestite dopo il terremoto (Genia/Consoli)

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Sono ben 14 le chiese chiuse, nella diocesi di Acireale, a seguito del terremoto di Santo Stefano. Alcune sono distrutte o inagibili, come le chiese delle frazioni acesi di Pennisi, Fiandaca, Santa Maria la Stella, Piano D’Api, e, a Santa Venerina, la matrice e la chiesa di Cosentini. Altre sono chiuse in via precauzionale e sono tutte le altre chiese di Santa Venerina, le chiese Santa Lucia e Santa Maria della Consolazione di Acicatena e la chiesa della frazione acese di Aci Platani.

Così, senza tetto, la curia di Acireale ha deciso di programmare le messe nei territori terremotati. Ieri il vescovo Antonino Raspanti, vicepresidente della Cei, ha celebrato messa nell’oratorio di Bongiardo, a Santa Venerina, mentre oggi alle ore 11 presiederà la messa nella piazza di Fiandaca. Alle 15.30, il vicario generale Giovanni Mammino celebrerà messa nella piazza di Santa Maria La Stella. Ad Aciplatani, le messe saranno celebrate nell’oratorio. Ad Acicatena le messe domenicali della chiesa Santa Lucia saranno “traslocate” nella chiesa della Madonna della Sanità, mentre le messe domenicali della chiesa dedicata a Maria SS. della Catena nella chiesa di San Giuseppe e nella chiesa dei Morti.

Diverse le chiese chiuse anche a Zafferana Etnea, appartenente all’arcidiocesi di Catania. Oltre a quelle maggiormente danneggiate di Fleri e Pisano, a titolo precauzionale è chiusa anche la matrice. La comunità di Fleri oggi alle ore 11 celebrerà la messa nell’atrio della scuola elementare di via Rossi, insieme all’arcivescovo Salvatore Gristina. La zona è sismica. Monsignor Mammino ricorda che attorno alla faglia di Fiandaca altri terremoti distruttivi si sono verificati nel 1914 e nel 1984. La chiesa di Pennisi è stata distrutta e ricostruita più volte. «Gli edifici costruiti con criteri antisismici hanno retto bene – dice – ci sono stati danni ma non tali da creare vittime».

Ma ha rischiato molto il parroco di Pennisi, don Mirco, scampato al crollo della canonica. «Molti – dice – sono coloro che hanno perso la propria abitazione ed il proprio lavoro. Io, come tutti gli abitanti di Pennisi e dei paesi vicini, siamo riusciti a salvare le nostre vite: io, per grazia di Dio, sono uscito vivo dalle macerie dopo il crollo del campanile sulla casa canonica dove stavo passando la notte. Il mio pensiero va a tutti coloro che hanno bisogno di un riparo e di un pasto caldo. La chiesa è inagibile, ma la comunità tutta è coesa perché vuole risorgere».

Anche Santa Venerina ha sperimentato più terremoti. Dell’ultimo, quello del 2002, non sono state ancora rimarginate tutte le ferite: dopo 16 anni, infatti, deve essere ancora ripristinata la chiesa di Bongiardo, i lavori dovrebbero concludersi nel 2019. La comunità da anni si riunisce in un prefabbricato. Adesso che anche tutte le altre chiese del comune sono chiuse, la parrocchia di Bongiardo ha messo a disposizione i locali del proprio oratorio per le esigenze delle comunità che si trovano senza chiesa. Il Comune di Santa Venerina, 8.500 abitanti, è condiviso da due diocesi: Bongiardo appartiene all’arcidiocesi di Catania, le altre parrocchie alla diocesi di Acireale. I terremoti portano la comunità a sentirsi, ancor di più, un cuor solo e un’anima sola. Don Giovanni Marino, parroco della matrice e della parrocchia Sacro Cuore di Santa Venerina ricorda: «Si era ritrovato, da alcuni anni, un equilibrio dopo i danni e lo choc del sisma del 2002. Adesso senza chiesa e alcune persone senza casa si sperimenta disorientamento. Ricomincia tutto da capo».

Scoraggia il pensiero della burocrazia nella fase della ricostruzione. Ma la solidarietà è una certezza. La Caritas di Acireale, insieme all’Agesci, ha allestito un centro di raccolta di beni di prima necessità nella parrocchia Cuore Immacolato di Maria di Acireale. A Fleri, il Comune di Zafferana, venerdì, aveva lanciato una raccolta di beni di prima necessità per i terremotati: dopo due ore lo stesso Comune ha chiesto di non portare più nulla perché si era raccolto quanto necessario.

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