mercoledì 4 aprile 2018
I tre sono stati scarcerati dopo dieci mesi, pur essendo stati condannati per disastro ambientale. Durissimo il vescovo Antonio Di Donna: «Decisione che genera sconcerto, indignazione e rammarico»
Acerra, liberi i fratelli Pellini: «Così si umiliano i cittadini»
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Scarcerati dopo appena dieci mesi i fratelli Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini, gli imprenditori dei rifiuti di Acerra condannati nel maggio 2017 in via definitiva a sette anni di carcere per disastro ambientale, una delle vicende più gravi e emblematiche della Terra dei fuochi. Una decisione che «desta come minimo un forte sconcerto, indignazione e rammarico», e che «umilia, mortifica la sensibilità dei cittadini verso il dramma ambientale». Così l’ha definita il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, nell’omelia di Pasqua. Parole forti ma più che giustificate dai fatti. Al processo ai fratelli Pellini, frutto dell’operazione “Ultimo atto-Carosello” del 2006, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti dedica un intero capitolo della Relazione sulla Campania, approvata appena un mese fa all’unanimità. E la descrizione è da vero disastro.

Gestione illegale di un milione di tonnellate di rifiuti

«Presso gli stabilimenti Pellini erano stati illecitamente gestiti circa un milione di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non, molti dei quali provenienti da stabilimenti del Nord Italia. Gli imprenditori ricevevano il rifiuto e dopo aver effettuato una declassificazione unicamente di natura cartolare li smaltivano illecitamente: i rifiuti liquidi erano sversati direttamente nel bacino dei Regi Lagni e nella campagne dell’agro aversano e napoletano; i rifiuti speciali solidi anche pericolosi erano ceduti quale compost o smaltiti direttamente mediante tombamento su terreni a destinazione agricola ed in cave adibite illegalmente a vere e proprie discariche». In particolare, ha insistito la Commissione, citando la sentenza di condanna, «l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti agricoli con sostanze pericolose ha assunto connotazioni “di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa”». Inoltre, prosegue la descrizione «l’immissione di ingenti quantità di percolato di discarica dall’impianto dei Pellini nei Regi Lagni e, poi, per tale via, direttamente in mare era dimostrata dalla ripresa video effettuata dagli inquirenti, da cui emergeva che il corso d’acqua aveva improvvisamente cambiato colore assumendo quello del percolato di discarica».

Fuori dal carcere con l'indulto

Eppure, malgrado la condanna definitiva, è arrivata la rapida scarcerazione a seguito di una decisione discrezionale della Procura generale, che ha calcolato una riduzione di pena grazie a 3 anni di indulto. Così per i tre fratelli è stata deciso l’affidamento per tre anni e mezzo ai servizi sociali. Certo, ha precisato Di Donna, le sue parole non sono «assolutamente contro le persone: noi siamo contro l’errore, ma mai contro gli erranti, le persone che sbagliano, che sono nostri fratelli». Però, ha aggiunto, la decisione «suscita sconcerto perché significa sottovalutare il dramma umanitario dell’inquinamento per il quale da noi ci si continua ad ammalare e morire. Suscita disorientamento per la difformità di giudizio tra i diversi organi della giustizia. E ci sconcerta soprattutto perché di fatto questa decisione, che speriamo sia revocata, incoraggia quelli che inquinano, visto che poi alla fine questo è il risultato».

Promesse non mantenute

Ma a preoccupare il vescovo sono anche le promesse non mantenute per questa terra, come l’Osservatorio regionale sull’ambiente, le bonifiche, lo smaltimento delle ecoballe che «va a rilento», mentre c’è chi «continua a lucrare sull’affare dei rifiuti» e restano «inevase » le richieste dei cittadini come «una moratoria seria che si opponga a nuovi insediamenti inquinanti». Una richiesta pressante che Di Donna aveva fatto anche al termine della Via Crucis nella quale le meditazioni erano state storie di ammalati di cancro, soprattutto giovani «vittime del furto più infame: rubare la speranza del futuro». Vittime del disastro ambientale. «Non possiamo farcela da soli», era stato l’appello del vescovo.

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