venerdì 1 settembre 2017
Tensioni sulla spartizione di aiuti da Roma. «Avviso» dei miliziani: stop a tre raffinerie
Un ribelle libico e, sullo sfondo, una raffineria di petrolio a Ras Lanouf nella Libia orientale (Ansa)

Un ribelle libico e, sullo sfondo, una raffineria di petrolio a Ras Lanouf nella Libia orientale (Ansa)

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«Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri 'aiuti', per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

Siham Sergiwa, una componente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk – il Parlamento riconosciuto dall’Onu ma non sempre in linea con il premier al-Sarraj –, ha dichiarato di aver fatto consegnare una cospicua cifra proveniente da donazioni italiane «per pagare gli stipendi ai dipendenti dell’ospedale di Bengasi e per alcuni ufficiali militari». Anche Bashir Ibrahim, portavoce dell’autoproclamata 'Brigata Anas al Dabashi', ha confermato che insieme alla 'Brigata 48' la milizia ha aderito «a un accordo verbale» tra il governo italiano e il governo «per combattere il traffico di persone». Una volta «ottenute rassicurazioni », i paramilitari hanno impedito ai gommoni di lasciare Sabratha. In cambio, le brigate riceveranno non meglio specificate «attrezzature, barche e stipendi».

Il problema sembra essere il controllo sulla reale destinazione finale degli stanziamenti italiani ed europei. In Libia tutti si attendono di ricevere anche i 40 milioni di euro dal 'Trust fund Africa' promessi da Bruxelles per progetti sul posto. Secondo fonti d’intelligence italiana, il rischio di 'somalizzare' la regione appaltando alle controverse forze locali il controllo delle frontiere sud dell’Europa è molto alto: «La Libia non è la Turchia. Piaccia o no l’accordo con Erdogan, lì c’è un governo forte e un solo interlocutore, in Libia no».

Un’intesa per la spartizione della torta non c’è ancora. Il segnale è arrivato da Zawya, cinquanta chilometri ad est di Tripoli, sulla strada per Sabratha, la capitale degli scafisti. Tre campi petroliferi hanno sospeso il pompaggio a causa dell’occupazione degli impianti da parte di milizie armate. Secondo l’ente statale per il petrolio (Noc), la produzione è ridotta al minimo e due oleodotti sono stati chiusi. Un vero salasso per le casse del governo al-Sarraj. Diverse fonti hanno confermato ad Avvenire che a fermare l’estrazione è stato il capo della Libyan Petroleum Facilities Guard, milizia para-statale che dovrebbe proteggere i siti dell’oro nero, e che secondo gli investigatori Onu «risulta coinvolta nell’approvvigionamento di carburante per i trafficanti». Il comandante è Mohamed Koshlaf, noto per a- ver stipato migliaia di migranti nei magazzini delle raffinerie, mentre suo fratello, Walid Koshlaf, si occupa degli aspetti finanziari. Alla media di 1.000 euro estorti a ciascun profugo per raggiungere l’Europa, la filiera del traffico di esseri umani ha viaggiato al ritmo di 100 milioni di euro all’anno solo in Libia. Senza un vero piano di stabilizzazione e sviluppo, con al centro i diritti umani dei migranti, «è possibile anche che lo scenario muti – osserva una importante fonte diplomatica italiana – nel senso che i punti di partenza e le rotte potrebbero destabilizzare Paesi confinanti, come la Tunisia e il Marocco, che nelle zone di confine vivono conflitti a bassa intensità».

La Libia resta in guerra. Le milizie fedeli al governo di Sarraj lamentano scarsità di mezzi, mentre gli scontri sono tornati alle porte della capitale. Il generale Najmi Nakoa, a capo della Guardia Presidenziale, ha confermato che «alcune unità» ai suoi comandi «si sono messe a disposizione del ministero degli Interni» per mantenere la sicurezza e «risolvere il conflitto nel quartiere Souq Khamis», un sobborgo strategico a sud di Tripoli, sulla strada per l’aeroporto internazionale rimasto chiuso in seguito ai bombardamenti e in via di ricostruzione da parte di un consorzio italiano. Nelle stesse ore un’autobomba è esplosa contro un posto di blocco, uccidendo alla viglia dell’Hajd, la grande festa del sacrificio, quattro miliziani del generale Haftar. Dall’Italia, intanto, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, parlando della missione del nostro Paese nelle acque libiche, ha detto che «non è assolutamente una missione che deve ledere la sovranità libica».

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