giovedì 14 dicembre 2017
Don Cipressa: sono persone ferite, con conflitti profondi e irrisolti. «I genitori accettino i figli per quello che sono. E loro si accetteranno»
Don Salvatore Cipressa

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«Il transessuale è una persona segnata da una grande sofferenza. E, anche se la Chiesa non ha ancora preso in esame in modo approfondito questo problema, possiamo applicare anche a loro quanto dice il Papa a proposito delle fragilità: 'curare le ferite' e accompagnare con misericordia». La riflessione è di don Salvatore Cipressa, tra i pochi teologi moralisti a essersi misurato con un tema così scomodo. Docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Lecce, responsabile dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo religioso a Nardò-Gallipoli, segretario dell’Associazione dei moralisti italiani (Atism), don Cipressa ha pubblicato qualche anno fa Transessualità tra natura e cultura (Cittadella, pagg.121, euro 9,80).

Se la 'disforia di genere' è una patologia, perché caricare su queste persone il fardello di proibizioni e divieti?

La persona affetta da disforia di genere esperimenta una radicale frattura tra l’Io e il corpo, che viene vissuto come estraneo e, pertanto, viene rifiutato e non amato. Non si riconosce né nel proprio sesso fenotipico né nel proprio corpo. Pensando di essere un 'errore di natura' sostiene di avere una 'mente giusta' in un 'corpo sbagliato' e desidera la trasformazione del proprio corpo attraverso l’intervento medico- chirurgico. Ci troviamo di fronte a una persona segnata da grande sofferenza. È tutta la persona a soffrire a motivo del conflitto interno a se stessa. Si potrebbe applicare quanto papa Francesco ha detto in altro contesto che bisogna «curare le ferite» e accompagnare con misericordia le persone facendo sentire loro la vicinanza e la prossimità della Chiesa.

Cosa dice il magistero a questo proposito?

A tutt’oggi, purtroppo, da parte della Chiesa, non è stato ancora elaborato alcun documento ufficiale sulla transessualità così come, invece, è avvenuto per l’omosessualità. Pur essendo il fenomeno della transessualità oggetto di studio da parte della Chiesa, non sono state date ancora precise indicazioni pastorali. Parroci, confessori, padri spirituali dovranno soprattutto saper accogliere, ascoltare e comprendere, con umiltà, pazienza e senza pregiudizi, la drammatica situazione di queste persone.

I genitori che si trovano davanti a situazioni del genere come dovrebbero comportarsi?

Ogni bambino costruisce la propria identità di genere a partire dalla accettazione o dal rifiuto della sua identità sessuale da parte dei genitori e dalle aspettative che essi hanno su di lui. Nella genesi del transessualismo, il desiderio dei genitori di avere un figlio di sesso diverso gioca un ruolo determinante. Essi con il loro atteggiamento e comportamento comunicano al figlio l’idea che potrebbe essere maggiormente considerato e potrebbe avere più attenzioni se fosse di sesso opposto. Pertanto è importante che i genitori accolgano bene i figli alla nascita, li riconoscano nel loro sesso anatomico e li rispettino nelle loro caratteristiche sessuali.

Come dire, accettare per far sì che lui stesso (o lei stessa) si accetti?

Sì, riconoscere l’altro nella sua identità sessuata è fondamentale perché egli impari ad accettarsi, ad apprezzarsi e ad amarsi. Nella vita la più grande trappola è il rifiuto di se stessi, pertanto, la persona transessuale, a motivo della sua condizione, ha più bisogno degli altri di sentirsi accettata, accolta e amata dalla famiglia e dalla società.

Che spazi per l’affettività di queste persone?

Per una maturazione affettivosessuale, il cammino che ogni persona deve compiere è quello di integrare la sessualità e affettività nel tutto della personalità. In particolare, la persona con disforia di genere deve essere aiutata a risolvere quel conflitto interiore che le procura angoscia e solitudine, a costruirsi come persona in grado di esprimere possibilità positive di crescita e di sviluppo, ad amarsi e ad amare.

L'INCHIESTA Un giorno con i transgender al Centro di Niguarda di Luciano Moia

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