domenica 23 febbraio 2020
Gli hanno strappato un rene nello Yemen, lo hanno torturato in Libia. Martedì avrà una chance di vita grazie ai primi corridoi umanitari dal Niger promossi da Cei e Caritas
Alcuni piccoli profughi in un campo del Niger

Alcuni piccoli profughi in un campo del Niger - Archivio

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Ad Abubacar, 30 anni, i trafficanti hanno tolto il rene sano a Hodeida, nello Yemen. Lui fuggiva dalla guerra e cercava asilo in Europa. «Volevo partire per Gibuti, gli yemeniti mi hanno aggredito e accoltellato. Mi sono svegliato in un lago di sangue». Quando la ferita si è rimarginate, ha passato comunque il Mar Rosso, è passato in Egitto via Sudan ed è stato venduto a banditi libici che senza pietà lo hanno torturato per estorcergli i soldi del riscatto.

Alla fine lo hanno liberato e l’Unhcr lo ha portato in Niger per farlo partire verso l’Italia. È uno dei 66 rifugiati, in maggioranza sudanesi del Darfur, che arriveranno nel nostro Paese martedì, con il primo corridoio umanitario della Cei dal Niger grazie a Caritas Italiana. Si tratta di 15 famiglie provenienti dal Campo di transito di Hamdallaye, gestito dall’Unhcr, che accoglie persone evacuate dai centri di detenzione libici. Molti sono fuggiti ad Agadez dopo aver pagato il riscatto Il loro ingresso in Italia è reso possibile dal Protocollo di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale. La Cei, grazie a questi protocolli e ai fondi dell’8xmille, ha organizzato negli ultimi anni – in particolare tramite la Caritas Italiana e col sostegno delle comunità locali – corridoi umanitari, reinsediamenti ed evacuazioni umanitarie da Medio Oriente e Africa, con un investimento di 10 milioni di euro. È stato possibile in tal modo offrire vie di accesso ordinate e sicure verso Paesi europei a migliaia di richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità, individuati nei campi profughi di Etiopia, Sudan, Giordania. «E oggi – conferma Oliviero Forti, responsabile immigrazione dell’organismo pastorale della Chiesa italiana – per la prima volta anche dal Niger, nazione martoriata dai conflitti, si apre il corridoio della società civile». Si tratta questa volta per lo più di persone di nazionalità sudanese, alcune sono del Camerun, del Togo e c’è una famiglia di siriani con problemi di salute.

Tutte hanno sperimentato le dure condizioni dei centri in Libia. E per questo verranno accolti nel centri di Rocca di Papa, alle porte di Roma, gestito dalla Fondazione Auxilium, dove verranno curati e aiutati a inserirsi gradualmente. «Poi verranno inserite secondo il nostro metodo in una decina di diocesi con una famiglia che farà da tutor. Solo una famiglia siriana composta da padre, madre e quattro bambini, riparata in Niger dall’Arabia Saudita dove il marito lavorava, andrà alla Caritas di Manfredonia, perché la donna è gravemente malata e deve curarsi con urgenza a San Giovanni Rotondo. Grazie alla collaborazione con Unhcr e governo italiano – conclude Forti – vogliamo aprire altri corridoi per rendere fluido il passaggio verso il Niger di persone liberate dai lager libici».

Abubacar ha 38 anni e sei anni fa è scappato in Libia con moglie e due bambini dal Darfur per fuggire dal conflitto. «Lavoravo, poi mi hanno arrestato e rinchiuso a Saba dove mi hanno torturato davanti ai miei bambini per 1.500 dollari di riscatto. Quando i miei parenti hanno pagato siamo stati liberati. Ho chiesto un passaggio a un camionista che ci ha scaricato ad Agadez, in Niger nel 2018. Siamo stati nel campo dell’Unhcr fino allo scorso gennaio quando ci hanno rispostati ad Agadez. Cosa mi aspetto dall’Italia? Pace, serenità e la scuola per i miei figli, non chiedo altro». Alessandra Morelli, capo della missione Unchr in Niger, ricorda le torture indicibili subite da queste persone, la cui psiche è stata duramente colpita. «L’Onu ha scritto che la tortura in Libia è un business resiliente. In quelle galere l’umanità spesso è stata cancellata come la dignità delle persone. È importante che queste persone estremamente vulnerabili dal Sahel arrivino in Italia con vie legali e sicure grazie alla società civile. È un messaggio ai trafficanti». E dopo tante parole di odio, martedì a Fiumicino, insieme al segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, il nostro Paese che è pioniere nella Ue per i corridoi umanitari pronuncerà ancora parole di solidarietà.

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