martedì 10 ottobre 2017
Gesto forte del vescovo Oliva. Sabato la Giornata diocesana per la conversione dei mafiosi: «Come Chiesa ci impegniamo a non essere complici del male, a mettere da parte i silenzi omertosi»
Il santuario della Madonna di Polsi

Il santuario della Madonna di Polsi

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«Pellegrino fermati, prega per lui e chiedigli di accompagnarti ad onorare degnamente la Regina della Montagna ». Queste parole accolgono da domenica i pellegrini che si recano nel santuario della Madonna di Polsi in Aspromonte. Sono scritte sul busto di marmo che ricorda don Peppino Giovinazzo, ucciso proprio qui dalla violenza mafiosa il 1° giugno 1989. La statua è stata posta all’ingresso dell’area sacra, dove era collocata una riproduzione della Madonna della Montagna, luogo di incontro, in occasione delle feste del 1° e 2 settembre, dei capi delle cosche della ’ndrangheta per decidere affari, omicidi, giuramenti. Incontri ripresi anche dalle telecamere delle forze dell’ordine. Da domenica il luogo rappresenta ben altro.

La statua della Madonna è stata collocata in un posto «più degno» vicino alla chiesa del santuario e al suo posto è stata posata quella del parroco trucidato dalla ’ndrangheta. Una forte e simbolica decisione del vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, per ricordare – sono state le sue parole – «un sacrificio che ci consegna un’eredità difficile e importante: da una parte l’impegno concreto, coraggioso e profetico da portare avanti senza riserve contro ogni forma di associazione mafiosa, dall’altra l’indicazione di un percorso pastorale di formazione delle coscienze e di annuncio della gioia del Vangelo della riconciliazione e del perdono come percorso ineludibile di rinascita».

Denuncia e perdono, parole che sono state anche al centro della Giornata diocesana di preghiera per la conversione dei mafiosi e la custodia della casa comune, che sempre per volontà del vescovo, si è svolta sabato scorso in tutta la diocesi, e che ha avuto come luogo centrale nel santuario 'Nostra Signora dello Scoglio' a Placanica. «Converti i cuori di pietra in cuori di carne – si legge nella preghiera che è stata letta in tutte le chiese –, facci comprendere che ogni alleanza mafiosa è una via di morte, una scelleratezza che rovina la nostra terra, paralizza il suo sviluppo economico e sociale, distrugge la nostra cultura. Siamo inquieti, Signore, – prosegue la preghiera – fino a quando la nostra terra sarà piegata al potere mafioso.

Noi ci impegniamo, Signore, per intercessione di nostra Signora dello Scoglio, a combattere la mafia, rifiutando il compromesso, l’iniquo sistema delle raccomandazioni e ogni forma di corruzione». Fino a un vero e proprio appello. «Mai più spargimento di sangue innocente! Come Chiesa ci impegniamo a non essere complici del male, a mettere da parte i silenzi omertosi, i compromessi e la triste rassegnazione». Ma senza chiudere le porte a nessuno. Così nella preghiera tornano parole di perdono. «Tu, Signore, doni la speranza di salvezza ad ogni uomo, che si pente e si converte a Te con tutto il cuore.

Nella Chiesa non possiamo dare cittadinanza ai mafiosi, se non si convertono e non dimostrano il loro pentimento con atti concreti, visibili e pubblici». Parole chiarissime, come l’importante segno al santuario di Polsi che ha visto ancora una volta accanto al vescovo le principali istituzioni, dal prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari al questore, Raffaele Grassi, e ai vertici di tutte le forze dell’ordine. Anche a loro si è rivolto il vescovo affermando che «tutti, sacerdoti, fedeli laici e credenti sappiamo che il futuro della nostra terra dipende molto da noi. La stessa pietà popolare, liberata da incrostazioni devozionali tradizionali che addormentano le coscienze e allontanano dai veri problemi della vita, dovrà dare un impulso importante in questa direzione».

Partendo proprio da Polsi, «un luogo dal quale chi passa deve solo raccogliere e portare con sé sentimenti di pace e il proposito di un sincero cambiamento di vita. E ricordarsi che la fede non si concilia con la ’ndrangheta, che nessun motivo può giustificare la violenza e l’odio, ma è fermento di vita nuova». Quella che da domenica molti ritroveranno, nella santuario della Madonna della Montagna, nel ricordo di don Peppino, prete martire della violenza mafiosa.

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