sabato 24 novembre 2018
I tagli del Viminale nel Cara siciliano colpiscono i bambini e l’integrazione
(Ansa)

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Meno fondi, niente servizi per l’integrazione, ma tagli anche a quelli essenziali come l’assistenza sanitaria e i trasporti, perfino la carta igienica, i pannolini per i neonati. E una drastica riduzione del personale italiano. È quello che sta accadendo al Cara di Mineo, di fatto la rappresentazione della strategia Salvini. Provocando tre giorni fa la protesta degli immigrati e, da alcune settimane, quella dei dipendenti licenziati. Mentre a fare affari sono i caporali, cioè chi sfrutta i migranti, perfino portandoli a Catania. Una nuova forma di sfruttamento, i caporali dell’elemosina e dei lavavetri.

Dall’esterno il grande centro, nato nel 2011 (governo Berlusconi, ministro dell’Interno il leghista Maroni), sembra sempre lo stesso. La recinzione di rete e filo spinato, i soldati a sorvegliare gli ingressi. Dentro le villette costruite per i militari Usa e ora il più grande centro di accoglienza per richiedenti asilo. Fuori il solito via vai di migranti, su auto scassate, in bici, a piedi. Ma in realtà molto è cambiato, in peggio, dopo l’ultimo bando per la gestione assegnato il 26 luglio dalla prefettura di Catania che ha drasticamente tagliato la diaria cancellando di fatto molti servizi. Il 24 agosto Avvenire aveva scritto «integrazione impossibile e favoreggiamento dello sfruttamento. Sarà l’effetto dei tagli ai costi del Cara di Mineo tanto sbandierati dal ministro Salvini». Che in occasione della protesta degli immigrati lo ha nuovamente rivendicato: «Volevamo ridurre presenze e costi al Cara di Mineo e lo stiamo facendo. È finita la pacchia».

La realtà è molto diversa ed è drammatica. Lo racconta Walter Cerreti della Comunità di Sant’Egidio di Catania. «Mineo fa scuola. I presenti sono circa 1.800 rispetto a punte massime di 4mila. Ma è dovuto soprattutto al calo degli sbarchi e all’aumento degli ospiti mandati via e finiti sulla strada. E chi è rimasto deve subire il taglio dei servizi». Non c’è più l’ambulanza con medico e infermiere, ma solo un punto sanitario assolutamente insufficiente. Prima l’assistenza medica era tutta interna, ora bisogna raggiungere il paese a 8 chilometri. «Anche i bambini li devono portare a visitare dal pediatra a Mineo». E i minori sono quelli che più stanno subendo le conseguenze dei tagli. «Tutti i servizi che c’erano prima sono spariti – aggiunge Walter –. Ad esempio c’era il 'punto mamma' che garantiva un’assistenza particolare. Per i bambini c’era l’asilo pomeridiano dove andavano quando tornavano da scuola. Anche questo non c’è più». E non solo servizi. I tagli hanno colpito tutti prodotti per neonati, compresi i pannolini. Mentre la carta igienica non era prevista nel bando.

Non va meglio per gli adulti. «Zero attività di integrazione. Prima c’era il jobs center dove si facevano diversi corsi come quello di informatica, il bilancio delle competenze, il curriculum, ed erano stati attivati diversi tirocini formativi. Completamente tagliato. Mangiano e dormono solo. Anche la scuola di italiano è stata ridotta». Così i richiedenti asilo hanno le giornate vuote. Molti gironzolano fuori dal Cara. Altri lavorano, ovviamente sfruttati e in nero, nei campi della zona. Ma soprattutto «sono aumentati quelli che ogni giorno vanno a Catania a chiedere l’elemosina e a lavare i vetri. Alcuni restano per giorni dormendo per strada» ci racconta Elvira Iovino del Centro Astalli. E come ci vanno? La protesta di tre giorni fa è scattata soprattutto per il taglio dei soldi per i trasporti. Niente biglietti. E allora arrivano i caporali che si fanno pagare il trasporto e organizzano le attività in città. Un vero racket della strada. Li abbiamo visti a decine ai semafori. In gran parte nigeriani, che hanno sostituito altre etnie che da anni facevano i lavavetri. Una guerra tra sfruttati.

Ma a pagare i tagli sono anche gli italiani. Nel Cara si sono infatti persi 200 posti di lavoro su 350, più della metà. Proprio perché sono stati tagliati i servizi. E c’è una prossima drammatica emergenza, quella dei vulnerabili che dopo il decreto sicurezza non possono più avere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. «Al Cara sono disperati – è l’allarme di Walter – perché hanno una trentina di persone che stanno seriamente male da un punto di vista psichico che non sanno come inserire e finiranno per strada».

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