mercoledì 13 luglio 2016
La psicologa d'emergenza dell'Università Cattolica, Marilena Tettamanzi, analizza l'ondata di fobia dei treni scatenatasi dopo l'incidente. «La Rete amplifica l'identificazione con le vittime», avverte.
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Proteggersi dalla sovraesposizione di immagini e notizie, cercando di recuperare calma e tranquillità. Il giorno dopo la tragedia ferroviaria di Andria-Corato, la psicologa dell’Università Cattolica, Marilena Tettamanzi, componente dello staff di psicologia dell’emergenza e dell’intervento umanitario dell’ateneo milanese, invita a non farsi prendere dal panico e dalla paura ingiustificata.

«Incidenti come questo – commenta la docente – hanno un fortissimo impatto sull’opinione pubblica perché comportano un elevato numero di morti e feriti. Ma ciò non toglie che sono e rimangono eventi molto rari, rispetto, per esempio, agli incidenti automobilistici, che sono di gran lunga più frequenti di quelli di treni o aerei, ma hanno un impatto, anche mediatico, minore, perché, presi singolarmente, coinvolgono meno persone».

Secondo le statistiche sull’incidentalità dei trasporti, diffuse dal ministero delle Infrastrutture, nel 2012 in Italia si sono verificati dodici incidenti aerei (con sette morti e diciotto feriti), 123 incidenti ferroviari (80 morti e 41 feriti), mentre gli incidenti stradali sono stati 188.228, con 3.753 morti e 266.864 feriti.

Eppure, professoressa, nessuno ha paura di utilizzare l’auto, mentre in Rete sta dilagando la fobia dei treni. Quale meccanismo scatta nella testa delle persone?

In situazioni tragiche come queste, la Rete, purtroppo, amplifica la paura e favorisce il dilagare del panico. E, invece, bisognerebbe considerare l’estrema rarità di questi eventi. Non è vero che le ferrovie sono insicure, perché altrimenti avremmo disastri quotidiani, visto l’alto numero di pendolari che, tutti i giorni, prende il treno (circa 3 milioni, secondo l’ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente ndr.).

Come proteggersi da questa ondata di panico?

Innanzitutto, non sovraesponendosi a notizie e immagini che, in questi giorni, sono trasmesse di continuo. Soprattutto, facciamo attenzione ai bambini, la cui sensibilità è molto accentuata. Passare ore su Internet a cercare informazioni non fa altro che aumentare il nostro senso di insicurezza. Anche le storie dolorose che in questi momenti sono raccontate, facilitano il meccanismo di identificazione di milioni di persone, potenziali vittime di terzo livello di questo evento. Esiste, infatti, anche un traumatismo secondario legato proprio all’identificazione con le vicende delle vittime.

Eppure non si può nemmeno negare che, purtroppo, l’incidente può sempre capitare…

Certo, si tratta del “condizionamento vicario” di cui parla Bandura, che ci fa pensare: «Può succedere anche a me». Questo, però, non ci deve fare vivere nella paura. Un dato, forse, può essere utile per tranquillizzare le persone: dopo fatti di questa gravità, l’attenzione delle autorità è massima. E questo, di per sé; fa aumentare la sicurezza e calare le possibilità che si ripetano.

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