giovedì 28 agosto 2014
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L’esperienza insegna che il Vangelo non si impone e in genere chi lo fa provoca la reazione opposta. Al Meeting, lo si era detto già martedì, all’incontro dei costituzionalisti sui nuovi diritti, e lo si è ripetuto ieri a quello sulla secolarizzazione, ma con declinazioni meno remissive. Se nel dibattito sui diritti civili ci si era trovati d’accordo sul fatto che la demonizzazione della controparte sia sempre controproducente, ricostruendo il percorso storico della secolarizzazione europea, ieri, in un salone gremito, sono riemerse le polarizzazioni tra chi si contrappone frontalmente a questo processo nella vita pubblica e chi propone una dialettica più partecipativa. Ha aperto la discussione Brad Gregory, storico dell’Università statunitense Notre Dame ed autore de “Gli imprevisti della Riforma” (Vita e Pensiero), ricordando che «sono stati proprio i cristiani a secolarizzare l’Europa, in modo involontario, con i loro sforzi di costruire una società più cristiana, che ha scatenato la reazione. I semi li ha gettati la Riforma, non solo rifiutando l’autorità di Roma, ma mettendo in discussione il suo magistero. Furono le divisioni tra le chiese protestanti - che ancora oggi sono oltre trentamila… a provocare un rifiuto del Cristianesimo, che esplose nel ’700». Lo storico americano ha inquadrato in questa involuzione anche la confessionalizzazione di stampo costantiniano dei governi nordeuropei - «quei Paesi furono tutt’altro che la culla della libertà religiosa di cui spesso si parla» - e ha accostato le guerre di religione tra i cristiani europei del sedicesimo secolo allo scontro in atto nell’Islam, concludendo che il processo «fu lungo, molto lungo», al punto che «l’assenza relativa del cristianesimo è un fenomeno del Novecento».Un fenomeno «reversibile» secondo Adrian Pabst, docente a Canterbury.  Dopo aver precisato che chi (come lui) parla di fede in un ateneo britannico è ipso facto un «reazionario » e un «fondamentalista» ha invitato a considerare la secolarizzazione «un processo non inevitabile ma contingente, che può essere messo in discussione ». Infine, riallacciandosi al tema delle radici cristiane della Costituzione europea ha commentato anche: «Possiamo far andare l’Europa in una direzione diversa», quella tracciata dalla tradizione biblica, dalla filosofia greca e dal diritto romano. Per Pabst non siamo di fronte, insomma, «a un processo pacifico, ma a una dissacrazione » tesa, in ultima analisi, a sacralizzare lo Stato e il mercato: «La secolarizzazione ha profanato il sacro e reso sacro il profano». Una visione decisamente lontana dalla teoria del cristiano «deponente» di Mauro Magatti. Concludendo il dibattito, il sociologo dell’Università Cattolica, ha ricondotto l’analisi all’originalità del messaggio cristiano, centrato sull’incarnazione e sulla libertà che permette di riconfigurare il rapporto tra Dio e l’uomo. «In tal senso, San Francesco è l’antesignano del cristiano moderno» ha commentato, ammettendo che le speranze di stabilire un baricentro più avanzato di questo rapporto «si sono perdute nei secoli successivi» ma che comunque «non dobbiamo farci prendere dalla paura». Magatti non è tenero con la deriva di un uomo che pretende di «auto fondarsi» ma ha escluso che la secolarizzazione debba avere «solo un’accezione negativa e distruttiva », com’è uso fare tra i fondamentalisti - «anche cattolici» - e ha fatto ricorso alla parabola del figliol prodigo per tratteggiare un «passaggio adolescenziale di rottura». La condizione del cristiano nel mondo secolarizzato dev’essere, ha detto, quella della coscienza che riconduce il figliol prodigo al Padre, con un atteggiamento deponente, in quanto depone parte delle sue pretese per stare in relazione con l’altro e la comunità» e «ama la storia della modernità pur tenendo conto dei rischi che il periodo comporta».
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