domenica 19 giugno 2016
Il procuratore Cafiero de Raho: «Gomorra mostri chi la combatte». «I ragazzini dei clan di Napoli non hanno ancora capito che il loro futuro è nel recupero della legalità o nella morte o nel carcere a vita.».
Caso Gomorra, «con la camorra non c'è libertà»
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ROMA «Si può raccontare il male in televisione ma solo se le persone hanno avuto una formazione» e mandando «due precisi messaggi. Il primo è che il camorrista non è libero e il suo destino è solo il carcere a vita o la morte. Vediamo, invece, solo la camorra forte e non quella sconfitta. E non vediamo neanche chi, coraggiosamente, ha dato la vita per dire 'no' alle mafie, per amore dei suoi figli e della propria terra». Così il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, analizza il fenomeno Gomorra, lui che alla guida della Dda di Napoli la camorra l’ha combattuta per più di venti anni, soprattutto quella potentissima del clan dei 'casalesi'. E che ora combatte la non meno potente ’ndrangheta. «C’è chi ancora non crede che lo Stato è sufficientemente forte ma cominciamo a vedere dei cambiamenti. In Campania come in Calabria. Sono soprattutto i giovani, che hanno il coraggio dell’ingenuità e io sono ingenuo come loro...». Procuratore, che messaggio dovrebbe dare la tv sulla camorra, sulla mafia? Della invivibilità di una situazione quale è quella di un camorrista. Apparentemente esercita una forza ma è una forza che gli deriva da un clan che lo controllerà sempre e gli ha tolto la libertà e la capacità di decidere. La prima prerogativa di un uomo libero, la possibilità di decidere da solo, un camorrista non ce l’ha. Ma è giusto raccontare solo il male? In una fiction non andrebbe raccontata la completezza di una realtà? Gli autori di Gomorra dicono che far vedere il male crea anticorpi. Ma non sarebbe meglio far vedere anche gli anticorpi che già esistono? Chi fa vedere cosa è oggi la camorra probabilmente lo fa per dire 'state attenti alla camorra'. Si tratta di leggere il messaggio in modo di filtrarlo attraverso la formazione e l’educazione che ciascuno ha avuto, per rifiutare determinate condotte. Ma non c’è il rischio che chi non è formato veda solo l’immagine del camorrista-eroe? Bisognerebbe preparare le persone a guardare tematiche anche di questo tipo nelle quali la camorra è quanto di peggio esiste, dicendo «state attenti che di fronte alla camorra non c’è libertà». Lo ripeto, questo è il messaggio che andrebbe dato. Si vedono però in tv solo i camorristi, ammazzano e si ammazzano. Ma sempre tra di loro. Sembrano quasi intoccabili... Quando Gomorra ci fa vedere il corteo di camorristi che si muovono nell’ambito del territorio con i mitra spianati inneggiando alla loro potenza e alla sottomissione di tutti quelli che abitano in quel territorio, non si fa niente altro che ripercorrere ciò che è veramente successo. Ed è quello che forse non si riesce a capire. La storia però ha avuto un altro risultato, che i camorristi sono al carcere a vita, cioè 'fine pena mai', o sono morti. Quanti ne sono andato a prendere… Questa è la verità. È l’ulteriore passo da fare. Gomorra ci fa vedere quando la camorra era forte, non ci fa vedere quando sono stati sconfitti, grazie all’impegno di tanti magistrati e uomini delle forze dell’ordine. Questo è l’aspetto che manca. Si parla molto delle 'paranze dei baby camorristi' che usano la violenza copiando anche quella delle fiction. È qualcosa che la preoccupa o siamo noi e la tv a ingigantire il fenomeno? Il figlio più piccolo di Francesco Schiavone 'Sandokan' dice al padre in carcere: «Papà non ti preoccupare, ci penso io». Gli altri giovani dei clan di Napoli e provincia sono dei ragazzini che non hanno ancora capito che il loro futuro o è nel recupero della legalità o nella morte o nel carcere a vita. Non c’è prospettiva per loro. Sono ancora dei ragazzini, non hanno capito nemmeno che cosa è la camorra e quindi si muovono nel totale sbando e infatti è più facile prendere loro che qualunque altro latitante per il quale ci sono voluti anni e anni.  Lei ha incontrato direttamente o attraverso i familiari tanti che noi chiamiamo 'eroi anti camorra', ma che erano in realtà persone normali che facevano solo il loro dovere. La televisione non dovrebbe raccontarli di più? Sono d’accordo, perché sono loro che hanno fatto la storia di tutti i territori nei quali c’è stata una reazione contro camorra, ’ndrangheta, cosa nostra. Sono quelle persone che hanno avuto il coraggio di dire 'no' al camorrista, al mafioso, allo ’ndraghetista, senza avere paura, o anche percependo la conseguenza di quel loro 'no' ma sapendo che significava salvare i propri figli, la propria famiglia, dare dignità a sé, a tutti coloro che si amano, alla propria terra. L’insegnamento che se ne ricava è proprio questo: essere in grado di dire 'no' per salvare gli affetti più cari. Lo dovremmo davvero far conoscere di più.
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