sabato 16 aprile 2016
​I cittadini: abbiamo già cancellato Ombrina, ora sarà lo stesso per Rospo Mare.
Abruzzo, la trincea dei comitati «no triv»
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Churchill la voleva a tutti i costi e i tedeschi la difesero fino all’ultimo. Fu così che divenne la Stalingrado d’Italia: nel dicembre del ’43, Ortona era solo un paesino di pescatori, ma Berlino ci aveva fatto passare la linea Gustav, che sbucava a Cassino... Settant’anni dopo, la costa dei trabocchi è stata il teatro della battaglia di Ombrina, anch’essa decisiva, perché potrebbe aver segnato la fine del Texas all’italiana. Ombrina Mare si trova a tre miglia dalle coste abruzzesi: è l’ultimo giacimento petrolifero scoperto in Italia negli ultimi anni, il più corteggiato dalle compagnie petrolifere e il più contestato dagli ambientalisti e dalla popolazione. Con l’ultima legge di Stabilità, il governo Renzi ci ha messo una pietra sopra. Non si sa quanto tombale: qualcuno teme che Ombrina possa risorgere dalle proprie ceneri, anche se il permesso di ricerca scade il 31 dicembre e la richiesta di coltivazione, ossia di estrazione del greggio, è stata rigettata il 29 gennaio. «Il titolo di concessione è sospeso per effetto di un accordo politico e ciò rende particolarmente importante la vittoria del sì al referendum di domenica » ammonisce Giorgio Zampetti, autore del dossier Legambiente sulle trivelle d’Italia. Per i comitati 'No Ombrina' aver costretto il governo a ritornare sui propri passi rappresenta una vittoria storica. Rilanciata negli anni Duemila sulla base di un progetto di cinquant’anni prima, questa concessione rappresenta un caso paradigmatico nella guerra di lobby e miliardi che si è sviluppata per quasi un secolo intorno al petrolio italiano. Paradigmatico per i suoi tempi lunghissimi: la Rockhopper, l’attuale proprietario della concessione, ce ne ha messi otto per sentirsi dire che adesso dovrà smantellare il tripode con cui sono stati sondati i fondali dell’Adriatico. Paradigmatico per l’estenuante stop and go delle autorizzazioni, bloccate dalla Prestigiacomo, rimesse in moto da Passera, liberalizzate da Renzi e cancellate definitivamente sempre dall’attuale premier. Paradigmatico, infine, per l’opacità delle scelte politiche, che sono avvenute nelle riparate stanze del ministero dello Sviluppo economico fino a quando la mobilitazione dei cittadini abruzzesi (40mila in corteo nel 2013 a Pescara, 60mila due anni dopo a Lanciano…) non le ha smascherate. «Questo progetto è figlio dell’Italia di Mattei – ci racconta Augusto De Sanctis, uno dei militanti di 'No Ombrina', accogliendoci proprio sul trabocco di Rinaldo Verì, uno dei trenta che costellano i 40 chilometri di costa teatina, cuore del nuovo parco nazionale (ancora sulla carta) – e non si sa neanche quanti soldi siano stati buttati in quel tratto di mare in mezzo secolo, e dire che di interrogazioni parlamentari ne sono state fatte molte! Figuratevi che è stata intercettata persino una lettera di ringraziamento dei petrolieri a un ministro per aver sbloccato le autorizzazioni...» Un taglio netto a questa situazione è arrivato con l’azione del coordinamento No Triv, guidato dal costituzionalista Enzo Di Salvatore, con i suoi sei quesiti referendari, che hanno costretto Renzi a vietare le nuove estrazioni entro le dodici miglia marine. L’esecutivo è riuscito a evitarne cinque. L’unico quesito rimasto in piedi liberalizza la durata delle estrazioni già autorizzate. Non riguarda quindi direttamente Ombrina ma investe l’altra concessione che minaccia la costa dei trabocchi, Rospo Mare. Questo impianto sorge a undici miglia da Vasto ed è lì da 38 anni. La concessione scade nel 2018. Se il referendum fallisse, continuerebbe a pompare petrolio per molto tempo, perché pur trovandosi nelle 12 miglia è già in attività; anzi potrebbe realizzare nuovi pozzi. Se vincessero i 'sì', invece, dovrebbe fermarsi e poi essere smantellato. Non è l’unica concessione a rischio – in Abruzzo, che nel- la sua storia ha ospitato 550 pozzi a terra e 138 in mare, ce ne sono almeno altre quattro entro le 12 miglia e in scadenza, ossia minacciate dalla tagliola referendaria, per un totale di15 piattaforme, 44 pozzi in produzione e 23 non eroganti – ma, esattamente come Ombrina, estrae un petrolio ricco di zolfo, che dev’essere lavorato. «Accanto ai pozzi di Ombrina – ricorda Fabrizia Arduini del Wwf, in prima linea in questa battaglia – doveva essere collocata una nave per desolforizzare il greggio, una raffineria in mezzo al mare che ogni giorno avrebbe sputato in atmosfera 200 tonnellate di sostanze aerodisperse. In un sistema costiero che vanta 7 riserve regionali (Ripari di Giobbe, Acquabella, Grotta delle Farfalle, San Giovanni in Venere, Lecceta di Torino di Sangro, Punta Aderci, Marina di Vasto), un sito di importanza regionale (il Corridoio Verde, ai sensi della L.R. n.5/2007 che corre lungo tutta la costa da Ortona a Vasto) e 6 Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) di cui 2 a poche miglia dal progetto, era una prospettiva inaccettabile ». Gli abruzzesi l’avevano già rifiutata sulla terraferma: come racconta il presidente abruzzese di Legambiente Giuseppe Di Marco, «il centro oli è sempre stato il tallone d’Achille dei petrolieri in Abruzzo. Qualche anno prima di lanciare Ombrina, infatti, il governo si era fatto convincere ad autorizzare la realizzazione di un impianto per il trattamento del greggio. Peccato per loro che avessero scelto di farlo tra Ortona e Tollo, in mezzo a vigneti pregiatissimi: la reazione popolare fu tale che Berlusconi fece marcia indietro. Un fiuto che è mancato a Renzi, il quale invece ha affossato il progetto del parco eolico offshore che gli avrebbe evitato di impantanarsi su Ombrina». Dopo Ombrina, insomma, la costa dei trabocchi punta a far chiudere anche Rospo e tutte le altre piattaforme. Le motivazioni sono quelle che il sindaco di Vasto, Luciano Lapenna (Pd) sintetizza così: «Noi viviamo di turismo: abbiamo 16 chilometri di costa, 12 dei quali balneabili, dieci campeggi, 44 alberghi, 100 bed and brakfast e 60 stabilimenti balneari. Le trivelle ci danneggiano e non vediamo royalties. Domenica qui si va tutti a votare sì».
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