mercoledì 31 ottobre 2018
L’11 febbraio l’annuncio di Ratzinger sorprende la Chiesa. Il 13 marzo, il conclave elegge Bergoglio
23 marzo 2013 Francesco e Benedetto XVI in preghiera a Castel Gandolfo (Osservatore Romano)

23 marzo 2013 Francesco e Benedetto XVI in preghiera a Castel Gandolfo (Osservatore Romano)

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A volte la storia si muove e sterza senza preavviso apparente, servendosi di poche parole in latino che pochissimi colgono subito. È quanto accade l’11 febbraio 2013. Avvenire parla della storica decisione di Benedetto XVI di dimettersi il giorno dopo, il 12 febbraio, in prima pagina dando spazio nell’occhiello alle parole del Papa: «Dopo avere ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Titolo, che è anche commento: «L’umiltà di Pietro». Catenaccio: «L’annuncio di Benedetto XVI scuote il mondo: lascia dal 28 febbraio».

Seguono 14 pagine di primo piano, dall’annuncio del Conclave di marzo a cui parteciperanno 117 cardinali ai messaggi da tutto il mondo, dai commenti di Napolitano («Un gesto coraggioso») e Obama («Lo ammiro e prego per lui»), dallo stupore dei pellegrini in piazza San Pietro alle migliaia e migliaia di fedeli in preghiera nei santuari mariani di tutto il mondo. Il primo commento del direttore Marco Tarquinio è laconico: «Siamo sorpresi e scossi. Siamo commossi. (…) Eccoci qui, a mani aperte, ma non vuote. Come se qualcosa di prezioso ci fosse stato tolto e offerto con uno stesso gesto».

All’interno, ecco le cronache di Mimmo Muolo e Salvatore Mazza; Pino Ciociola si mescola ai fedeli in piazza: «La notizia delle dimissioni di Benedetto XVI è un baleno fra la gente. Ma altro è crederci: quasi nessuno sulle prime lo fa, ci riesce, è quasi difficile convincerli. Perché tanti si chiedono e chiedono se un Papa possa davvero dimettersi. Oppure non fosse perché, semplicemente, è difficile ritrovarsi catapultati nel luogo e nel momento della Storia». A proposito di storia, Roberto I. Zanini intervista Franco Cardini sui precedenti, tutte «somiglianze molto vaghe». Francesco Ognibene intervista il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Titolo: «La decisione di un uomo di fede». Andrea Lavazza intervista Galli della Loggia. Titolo: «Dà voce alla ragione. Un gesto di rottura». Gianni Cardinale scrive dell’imminente conclave e della «sede vacante». Alessandro Zaccuri spiega come la notizia sia corsa sui media di tutto il mondo.

Impossibile ripercorrere nei dettagli quelle giornate tra febbraio e marzo del 2013. Avvenire dedica a Benedetto XVI e a Francesco più di cento pagine. Ma eccoci alla prima pagina del 14 marzo, il giorno successivo all’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio: «Fumata bianca alle 19.06. Alla quinta votazione i cardinali hanno scelto il 266° Pontefice, primo dall’America Latina. Gesuita, 76 anni, figlio di emigranti piemontesi. “Prego per il mio predecessore”. Esultanza in Piazza San Pietro». Il titolo, enorme, riporta due sole parole: «Papa Francesco». Il catenaccio: «Eletto l’argentino Bergoglio. “Io, vescovo di Roma, preso quasi alla fine del mondo”».

Seguono 16 pagine. Muolo racconta l’attesa in sala stampa, Mazza le sue prime parole. Luigi Geninazzi e Filippo Rizzi presentano la biografia e gli orientamenti pastorali a Buenos Aires. I primi di una lunga serie di commenti, che proseguiranno nei giorni successivi, sono di Marco Tarquinio e Pierangelo Sequeri (in prima pagina), Salvatore Mazza (il prima e il durante del Conclave) e Roberto Mussapi (l’attesa). Nello Scavo intervista don Anibal Filippini, parroco della periferia di Buenos Aires, vecchio compagno del nuovo pontefice: «Ascoltava tango e studiava da prete È diventato il difensore dei più deboli. Perciò la politica lo avversava». Michela Coricelli racconta l’esultanza nella capitale argentina. Sulla scelta del nome Francesco, nuova intervista a Cardini, stavolta affidata ad Alessandro Zaccuri: «Qui la novità è dirompente, la scelta non può che venire dal Pontefice, senza alcun consiglio dall’esterno. Ed è una scelta coraggiosa, perché Francesco è un nome molto pesante da portare. Va nella direzione della povertà, innanzitutto. Ma è anche un richiamo alla profezia operato nel momento in cui l’istituzione è oggetto di critiche. Mi viene da dire che, in fondo, solo la Chiesa cattolica può permettersi una scommessa tanto impegnativa».

Delle dozzine di servizi, interviste e commenti di quei giorni, e degli innumerevoli messaggi dei lettori, ci piace riportare le prime parole della lettera di Alessandra Arini, pubblicata il 14 marzo. I suoi sentimenti non possono non essere i nostri: «Caro direttore, ho 19 anni, uno zaino, dei libri e qualcosa da chiedere al Papa. Caro papa Francesco, ti dico che non devi perdere tempo. E non è vero che le voci sulla ricchezza, sugli sprechi, siano solo storie di basso qualunquismo. No, abbiamo bisogno anche di questo. E quando la mattina vado all’Università, voglio sapere che ci sei. Con le tue storie sull’amicizia, sulla ricchezza dei poveri, sul segreto di un amore che si arricchisce donando. E voglio che tu faccia “verità”. Anche a costo di sollevare tappeti pieni di polvere e segreti».

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