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Con i social 70 nazioni manipolano i cittadini

Gigio Rancilio venerdì 11 ottobre 2019

Se pensavate di poter tirare un sospiro di sollievo, pensando che lo scandalo Cambridge Analytica fosse solo un ricordo lontano, devo darvi una brutta notizia: «nel mondo ci sono oggi 70 Paesi che usano social, algoritmi e big data per manipolare l'opinione pubblica». Sono il 150% in più (come numero e intensità) rispetto al 2017, cioè quando imperava Cambridge Analytica (ricordate lo scandalo scoppiato a gennaio 2018?). Il dato emerge dal rapporto The Global Disinformation Order 2019 dell'Oxford Internet Institute. Attualmente è l'unico studio del genere, che analizza con continuità le strategie e le mosse delle cosiddette «cyber troop» (le «truppe cibernetiche»).
Se può non stupire scoprire che in 26 stati autoritari, ancora oggi, viene utilizzata la «propaganda computazionale» (fatta impiegando algoritmi e profili falsi per diffondere fake news e screditare gli avversari) per orientare l'opinione pubblica, limitare la stampa ed eliminare qualunque voce di dissenso, fa invece particolare effetto un altro dato del rapporto. E cioè che «in 45 democrazie, politici e partiti per ottenere il sostegno degli elettori hanno utilizzato falsi follower e media manipolati».
Non è finita qui. Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e Venezuela hanno usato «armi digitali» per manipolare l'opinione pubblica anche in Paesi stranieri.
La nazione più aggressiva è la Cina. Ma anche gli altri 69 paesi analizzati dallo studio non sono da meno. Emerge infatti che ben «52 paesi hanno utilizzato disinformazione e manipolazione dei media per orientare gli utenti e 47 paesi (erano 27 nel 2018) hanno utilizzato troll per attaccare oppositori o attivisti politici». E l'Italia? Come ne esce il nostro Paese da questo rapporto? «In Italia ci sono piccole cyber truppe e soprattutto campagne di bot, fatte da partiti e/o politici, per distrarre, dividere e diffondere disinformazione soprattutto durante le campagne elettorali».
In questo non siamo così diversi dalla media. Il 71% delle nazioni prese in esame usa i social e la «propaganda computazionale» per manipolare informazioni, l'89% per attaccare gli oppositori e il 34% per dividere l'opinione pubblica. Il tutto usando anche account falsi e sistemi che simulano sui social azioni umane. Il 7% arriva addirittura a rubare identità a persone reali, usandole poi per i propri fini.
Secondo il rapporto, il 75% dei Paesi presi in esame, fa sistematica disinformazione digitale per orientare le persone e il 68% usa anche troll (umani e robotizzati) per distruggere la reputazione di dissidenti politici, oppositori e media e giornalisti non allineati. Il maggior numero di «cyber truppe» si trovano in Cina, Egitto, Iran, Israele, Myanmar, Russia, Arabia Saudita, Siria, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Vietnam e Stati Uniti.
Insomma, non solo lo scandalo Cambridge Analytica non è stato un caso isolato, ma se nel 2017 erano 28 i Paesi manipolatori, il loro numero è salito a 48 nel 2018 e ora sono 70.
La piattaforma preferita per la disinformazione resta Facebook, seguita da Twitter. Come sottolinea padre Paolo Benanti, francescano, docente di teologia morale ed etica delle tecnologie alla Pontificia Università Gregoriana e accademico della Pontificia Accademia per la Vita, davanti a tutto questo sorge una domanda urgente: «le piattaforme di social media stanno davvero creando uno spazio per la deliberazione pubblica e la democrazia o stanno amplificando i contenuti che rendono dipendenti i cittadini, disinformati e arrabbiati?».
Perché è vero che la propaganda e la manipolazione esistevano anche prima dell'avvento dei social, ma grazie al digitale sono ormai parte della nostra vita quotidiana. Sottolinea padre Benanti: «Queste tecniche, attraverso l'intelligenza artificiale, la realtà virtuale e l'internet delle cose, continueranno ad evolversi e sono pronte a rimodellare profondamente la società e la politica». Per questo, come conclude il report dell'Oxford Internet Institute, il digitale ha bisogno non solo di attenzione ma anche di un rinnovato impegno da parte dei governi e delle istituzioni. E l'informazione sana di spazi e aiuti adeguati.