EconomiaCivile

Svolta culturale. Neomutualismo: così si possono ridisegnare economia welfare e società

Francesco Riccardi mercoledì 1 giugno 2022

Mario e Antonella, pensionati anziani con i figli lontani, durante il primo lockdown si erano ammalati entrambi, in maniera non grave per fortuna. Per loro la 'salvezza' sono stati i servizi messi in piedi da un Comune del milanese assieme ai volontari della Protezione civile e ai ragazzi dell’oratorio, con il contributo di alcuni supermarket. Gli impiegati del Comune in smart working raccoglievano per telefono o sul web i bisogni delle persone, un gruppo di ragazzi preparava i pacchi con medicinali, alimenti e alcuni prodotti donati, che infine i volontari della Protezione civile provvedevano a consegnare nelle case in sicurezza. Solo un esempio di solidarietà da archiviare fino alla prossima emergenza, o una risposta nuova a un bisogno emergente? Oppure addirittura un possibile modello da applicare a contesti e necessità differenti? La pandemia da Covid 19 – al di là di lutti e sofferenze – nella percezione delle persone ha ricentrato priorità e valori, fungendo da acceleratore di processi che si muovevano già sottotraccia nelle nostre società. Disvelando anche le insufficienze dei modelli economico-sociali imperanti. Facendo soprattutto riemergere la voglia di (ri)trovare un «senso». Anzitutto alla propria vita e al proprio impegno. E poi anche alla funzione di tutti i soggetti sociali: dalle imprese alle istituzioni, riconsiderando i modelli, non dandoli più per scontati ma cercando la possibilità di un’alternativa migliore che in nuce era stato possibile individuare proprio nel momento di massima crisi insieme sanitaria, economica e sociale.

«Attraverso l’esperienza di un 'male comune' appare evidente che cosa sia concretamente il 'bene comune' e come questo passi dalla convergenza e responsabilità di tutti. Di fronte alla domanda concreta di nuovi bisogni si è formata una risposta terza rispetto alle transazioni di mercato e alla redistribuzione pubblica, profondamente cooperativa nella forma di scambio e che ha fatto subito pensare a una riemersione carsica di mutualismo sotto sembianze diverse dal passato», scrivono Paolo Venturi e Flaviano Zandonai che su questo hanno pubblicato «Neomutualismo. Ridisegnare dal basso competitività e welfare» (Egea, 200 pagine, 24 euro). Una sorta di 'manifesto' di un nuovo modello economico e sociale. O meglio un nuovo «meccanismo sociale», come lo definiscono Venturi – direttore di Aiccon, Centro studi sull’economia sociale, docente di Imprenditorialità e innovazione sociale all’Università di Bologna – e Zandonai, sociologo, open innovation manager, formatore e consulente. Perché se il mutualismo è nato storicamente sulla spinta di una risposta alternativa al capitalismo – declinandosi poi nelle cooperative di lavoro e produzione, di servizi finanziari e sanitari – il 'neomutualismo' viene proposto come un innovativo paradigma terzo. Capace non semplicemente di 'riparare' ai fallimenti del mercato e delle politiche pubbliche, ma di «generare impatto sociale dalle principali trasformazioni socio-tecnologiche, in modo che politica ed economia si rifondino intorno a un nuovo 'terzo pilastro' comunitario». Abilitando un processo che non solo incentivi e favorisca la co-produzione ma su questa base infrastrutturi «un’economia consortile fatta di filiere e reti in grado di favorire la nascita di nuove startup caratterizzate dal digitale come mindset (e non come mero supporto tecnologico), da assetti organizzativi che ricerchino intenzionalmente l’ibridazione e dall’orizzonte orientato verso missioni pubbliche».

Possono apparire concetti astratti, in realtà basta ripensare al piccolo esempio illustrato in partenza per rintracciare nel concreto e assai semplicemente gli elementi-base del neomutualismo: la collaborazione pubblico-privato-privato sociale, anzitutto; l’utilizzo di tecnologia, la dimensione locale di ascolto e risposta ai bisogni e, ovviamente, la funzione sociale. Quel che dà il «senso» a tutto. Perché è proprio questa necessità di rintracciare un senso alla base da una parte delle motivazioni delle persone – ad esempio alla ricerca di un nuovo lavoro, come accade con il fenomeno in crescita di dimissioni e re-impiego in condizioni più soddisfacenti di migliaia di dipendenti – e, dall’altro, della crescente domanda di un più profondo legame sociale in contrapposizione all’aumentare delle diseguaglianze e delle solitudini moderne. Qui si rintraccia appunto lo spazio generativo del neomutualismo. Che trova certamente nel Terzo settore l’attore privilegiato (non unico) e nell’Economia civile una modalità concreta di applicazione da rinnovare costantemente. In realtà, però, è soprattutto nella co-progettazione con il pubblico e nella collaborazione con i privati interessati a sostenere le finalità sociali che è possibile sperimentare e rendere concrete le nuove forme di mutualismo. In quest’ambito è molto interessante, ad esempio, cogliere quanto si va già muovendo nelle reti di rappresentanza e di intermediazione sociale, con il formarsi delle alleanze di scopo (Social impact agenda, Alleanza contro la povertà, Rete per i beni comuni, ecc.), in cui sindacati, associazioni, enti diversi, non rinunciando alla loro singolarità, assumono però una nuova 'soggettività comune' capace di «ibridare intermediazione, conoscenza e advocacy» (la promozione di una causa, appunto).

«Nella consapevolezza – annotano ancora Venturi e Zandonai – che le sfide del futuro saranno sempre più 'dilemmi cooperativi'». In questo quadro, il progresso tecnologico continua ad aprire inediti orizzonti d’azione. Ancora la pandemia, infatti, ha favorito la convergenza di «Digital» e «Local» in tante iniziative all’insegna del «Digical», in cui il potenziale e le risorse del locale vengono esaltati dalle nuove connessioni tecnologiche. Lasciando intravvedere, ad esempio, grandi opportunità nel ridisegno di tutto il welfare. Fondamente, però, sarà puntare con decisione all’«innovazione aperta come fatto cooperativo, incrementando la produttività dell’open innovation, creando valore attraverso il ricorso intenzionale e sistematico a strumenti e competenze che arrivano dall’esterno» di aziende, istituzioni, organizzazioni. Fino ad allestire dei «laboratori cooperativi di innovazione aperta». Qui si apre anche il capitolo di come sostenere e finanziare il cambiamento. Oltre a potenziare i canali tradizionali, ad esempio quelli delle Fondazioni, il futuro dipende sicuramente da quanto si svilupperanno gli investimenti dal basso per una finanza d’impatto. Anche attraverso «forme di Matching fund che mutualizzano risorse dal basso e apporti provenienti da soggetti istituzionali. Le evoluzioni di alcune piattaforme di crowdfunding donativo come Produzioni dal Basso sono emblematiche con fondazioni, banche, imprese, università ed enti pubblici che si sono proposti quali co-finanziatori di campagne di raccolta fondi su specifiche tematiche o territori». L’era del neomutualismo, insomma, è già iniziata e le potenzialità sono enormi. Grande, però, è anche il rischio di soffocarle tornando al business as usual. Usato sicuro, ma ormai logoro, inadeguato e spesso iniquo.