Agorà

Mostraci il tuo volto. Dalle volanti all’eremo grazie all’adorazione perpetua

Roberto I. Zanini domenica 24 ottobre 2021

Ernesto Piraino durante l'adorazione perpetua

La chiesa di Maria SS. Immacolata sul promontorio di Scilla, è uno di quei luoghi che difficilmente si dimenticano: siamo in Calabria, ma ricorda un po’ quelle chiese di Liguria cantate da Vincenzo Cardarelli, «che paion navi che stanno per salpare». Tanto meno si dimentica se, entrando, si scopre che nella cappella in fondo alla navata di destra si fa adorazione perpetua, con tanto di librone delle presenze, con i nomi degli adoratori e le firme ora per ora. Qui l’adorazione è nata il primo novembre del 2006 e qui, in quegli stessi giorni, davanti all’Eucaristia, ha cominciato a prendere forma e volto il percorso vocazionale del poliziotto Ernesto Piraino, calabrese figlio di emigrati, oggi prete ed eremita nel comune di Belvedere Marittimo in provincia di Cosenza, nella diocesi di San Marco Argentano-Scalea, dove il vescovo monsignor Leonardo Bonanno ha accolto questa sua «vocazione nella vocazione» alla vita eremitica. Il suo eremo è una piccola casa con orto a 700 metri fra i boschi del Pollino: anch’esso è posto a guardare il mare, ma da una posizione infinitamente più distante dai circuiti del turismo di massa.

Don Ernesto ha 42 anni, è entrato in Polizia a 19 ed è prete dal 2017. Ha la barba, il piglio e lo sguardo rapido di quand’era un «inflessibile poliziotto con un senso profondo della giustizia e il desiderio di fare carriera», per dirla con le sue stesse parole. Non ha più il fisico palestrato di allora, ma solo perché da quando ha scoperto l’adorazione eucaristica la sua palestra è quella dello spirito. «L’Eucaristia è la risposta a tutti i bisogni dell’uomo. La risposta a tutte le nostre domande. Adorando ti accade di comprendere e di vivere quello che dice il Salmo: 'E danzando canteranno: Sono in te tutte le mie sorgenti'. L’Eucaristia è sorgente».

Un amore a prima vista?

Ho scoperto la vocazione facendo adorazione eucaristica. Ogni giorno davanti a Gesù qualcosa si muoveva nel mio cuore. Ho incontrato per la prima volta il volto di Dio davanti all’ostia consacrata... difficile non innamorarsi.

È stata una cosa inaspettata? Come è successo?

All’epoca lavoravo per l’ufficio volanti della Questura di Messina e abitavo a Scilla. Cresciuto in una famiglia cattolica avevo un’infarinatura di fede ma non la vivevo pienamente. Quando la mia parrocchia ha avviato l’adorazione perpetua il mio primo approccio fu determinato dalla curiosità. Qualche mese prima mi ero lasciato con la fidanzata dopo una storia di sei anni che era ormai a un passo dal matrimonio. Vivevo una situazione difficile e quel giorno Gesù ha iniziato a cambiare la mia vita. Subito non ho capito cosa stava accadendo, ma da quel momento il richiamo dell’Eucaristia si è mostrato sempre più forte. Dai pochi minuti della prima volta sono passato a mezz’ora, un’ora, l’intera serata... Quando per lavoro restavo a Messina andavo ad adorare alla chiesa di Cristo Re dei padri Rogazionisti. Piano piano Gesù diventava indispensabile, anche se io continuavo la vita di sempre. Fatto sta che dovunque andassi, trovavo l’adorazione eucaristica perpetua. A Frosinone entro in una cappella a caso e la trovo. A Pescara, dove andai per un corso di specializzazione, una chiesa in cui casualmente avevo scoperto l’adorazione perpetua diventò il mio riferimento per tutto il periodo.

Ha detto che nell’Eucaristia ha incontrato il volto di Dio?

Ognuno il Volto lo descrive e lo vive in maniera diversa: chi lo vede nei sofferenti, chi nei poveri, chi nel ministero di un sacerdote... Per me era lì, e continua a essere, nella luce di quell’ostia. Il volto visibile di Dio nel quale mi sono perduto infinite volte. Un Volto accogliente che ti consente di entrare nelle profondità del tuo spirito. Lo contempli e non vorresti più andartene... Soprattutto ora da eremita... ed è sempre una grande fatica distaccarsene.

L’Eucaristia come ha lavorato nel suo cuore fino a farla giungere alla consapevolezza della vocazione sacerdotale?

Ha scavato nel mio cuore con un lavoro davvero certosino. All’inizio è arrivato e ha messo ordine, ha ristabilito un po’ d’equilibrio nel subbuglio del matrimonio mancato. Avevo 27 anni e un cuore che annaspava in cerca di un nuovo orizzonte a cui tendere. Davanti all’Eucaristia mi sono accorto che Lui chiedeva semplicemente di dargli un po’ di spazio: non dovevo fare altro che fidarmi.

E Lui come si è comportato?

Mi viene da dire: come un medico. Con quel suo sguardo che ti scruta come una 'tac'. Lui fa la diagnosi e interviene. Non mi ha detto che avrebbe iniziato una cura. Mi ero reso disponibile e Lui ha iniziato. Dopo quattro anni ero come nuovo. Potevo correre senza stampelle e Lui mi invitava a seguirlo. Ho avuto la percezione che mi stesse chiamando da sempre, solo che non ero stato capace di avvertirne la voce.

Viene in mente la parabola del seminatore...

Il Signore ha pazienza. Semina fino a quando quel seme cade dove deve cadere. Con me è successo dopo quattro anni di terapia davanti al suo Volto.

Le donne?

In quei quattro anni ne ho conosciute altre e molto belle, con loro sono stato bene ma c’era una parte di cuore che restava insoddisfatta. L’adorazione prendeva sempre più spazio nella mia vita e Gesù mi ha fatto capire che quell’insoddisfazione la poteva sanare solo lui. Ma prima che lo capissi io l’aveva capito la ragazza con la quale avevo instaurato una nuova relazione importante. A un certo punto arrivò a dirmi che se avessi voluto fare il prete dovevo semplicemente dirglielo. Io non ci avevo ancora pensato.

Insomma, il Volto per lei è stato come il seme del seminatore, come la luce della grazia...

Sì. Ma è un sole che illumina tutti. Ognuno ha i suoi tempi. Ma quando decidi di aprire la porta del cuore Lui entra. Se non apri non si scandalizza. Sta fuori e attende. Io ho capito che farlo entrare significa lasciarsi guardare. In quegli anni ho gradualmente permesso a Gesù di guardarmi fino al punto che ogni minuto del mio tempo libero lo trascorrevo davanti al suo sguardo. Mi sono fatto guardare senza sapere cosa volesse dire farsi guardare da Dio. Ero attratto da quella luce, ma non sapevo perché, né dove mi avrebbe portato. Ho solo dato la mia disponibilità...

C’è un nesso fra il poliziotto che era e il prete e l’eremita che è oggi?

C’è sempre stato in me un senso profondo di giustizia, che nel tempo si è trasformato in uno sguardo sulla totalità dell’essere umano. Ero un poliziotto inflessibile, poi è arrivata la Misericordia e il mio dovere ho cominciato a farlo guardando il colpevole con un occhio diverso, come un fratello da aiutare, da redimere. Insomma il volto di Dio è piano piano passato nel mio mestiere perché, ora ne ho preso coscienza, stavo imparando a guardare con gli stessi occhi con cui quel Volto guardava me. Cominciavo a vedere il Volto di Gesù nel volto del fratello.

Non mi ha detto quando ha deciso di entrare in seminario...

Era il 2010. Da qualche tempo avevo un padre spirituale e con lui ho parlato di questa chiamata, di questo desiderio crescente di consacrarmi a Dio. Stavo studiando Legge, ho lasciato è ho iniziato gli studi teologici. Nel 2011, a 32 anni, ho cominciato la formazione in seminario. Per qualche tempo ho continuato a fare il poliziotto. Seminarista e poliziotto. Quando sono stato ordinato c’erano tutti i miei colleghi della Polizia ed è stata una festa che non mi sarei mai immaginato.

E oggi che è eremita?

È un percorso in cui continuo a fidarmi e a lasciarmi guidare. Ho imparato a vedere il suo Volto nell’Eucaristia, poi nel volto del fratello. L’eremita impara a vederlo in ogni cosa. Il suo Volto mi segue nelle ore di meditazione, nel ministero della confessione, nel tempo dedicato all’accoglienza e alla direzione spirituale... poi, però, vado a ricaricarmi immergendomi nel silenzio e nella solitudine del mio piccolo Tabor.