sabato 6 agosto 2011
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Il grande scrittore si lascia alle spalle un mondo diverso da quello esistente prima di lui. Il suo è qualcosa di più di un semplice “influsso” e i mutamenti che si introducono sono irreversibili. Noi viviamo nel mondo “dopo Dostoevskij”: eliminare questa dimensione è impossibile. Tanto più questo riguarda la letteratura e, in particolare, quella in lingua russa. Dico ciò con un dubbio, perché la letteratura universale si percepisce nettamente nell’epoca post-dostoevskiana, e nel XX secolo, per cause evidenti, la lezione di Dostoevskij è stata recepita in maniera più intensa all’estero che nella sua patria: che la letteratura del realismo socialista doveva costruirsi in una radicale assenza di Dostoevskij. Appartenere all’epoca post-dostoevskiana non significa però essere prigioneri di Dostoevskij ma essere in rapporto, in discussione con lui. Il che può intendersi come desiderio di completare o, per usare le parole di Pasternak nel Salvacondotto, di fare le stesse cose, «solo con più ardore e compiutezza». Proprio in questo rapporto sono due epocali romanzi cristiani come Il dottor Zivago e L’idiota. L’analogia esteriore fra i due soggetti è evidente: si profila un protagonista che «non è di questo mondo», «un po’ strambo» – Jurij Zivago e il principe Myskin – in un contesto d’attualità; questi, inoltre, si implica in uno strano legame amoroso con due donne, una “pura” – Tonja, Aglaja, e una “fatale”, “perduta” – Larisa Fëdorovna, Nastas’ja Filippovna; nei confronti della seconda il protagonista cerca di svolgere la parte del salvatore (Pasternak per questa coppia abbozza due archetipi: la Maddalena e Cristo, la figlia del re e san Giorgio), ma alla fine rovina lei e se stesso; ancora, esiste una figura di seduttore-protettore – Komarovskij, Tockij; c’è poi il tema della nobiltà, dell’aristocrazia – il principe Myskin, il “cavaliere povero”: si pensi a una delle prime varianti del titolo del romanzo di Pasternak, Le norme della nuova nobiltà, e alle Memorie di Patrikij Zivul’t, dove il nome del protagonista si traduce come “cavaliere della vita”. Sono somiglianze così evidenti che sembra strano che non rientrassero nel disegno creativo di Pasternak . Ma a noi non interessa in sé il raffronto dei due schemi narrativi, quanto il disegno sotteso ai due romanzi, che potremmo delineare così: un’epifania, cioè il manifestarsi dell’autentico cristianesimo (un “uomo di Dio”, un santo somigliante a Cristo) nella società moderna. I titoli dei due romanzi (Idiota e Dottor Zivago) dicono già di che tipo di santità si parli. Da un lato malattia, nullità, stupidità (componenti del significato di “idiota”), dall’altro salute, anzi più che salute: potere risanatore e intelletto, addirittura erudizione.Certo, l’attualità di Dostoevskij e Pasternak, sullo sfondo delle quali hanno luogo queste due epifanie, sono già di per sé cose diverse, e questo vuol dire molto. Ma le più profonde divergenze e convergenze riguardano la concezione del mondo, del peccato, della morte, della vita, dell’uomo – cioè per così dire la teologia personale di Dostoevskij e di Pasternak. Perché la santità e i santi sono scomparsi dalla letteratura moderna? Sono limitazioni poste dal realismo? Forse si può raffigurare la santità con un’arte ieratica, nel simbolismo dell’icona? Ma le ingenue novelle dei Fioretti di san Francesco, in cui il realismo della vita quotidiana non fa che accrescere il fascino e la persuasività della figura dell’“uomo nuovo”, del “poverello di Cristo”, confuta quest’ipotesi. Forse il santo non ha nulla a che fare con il soggetto della letteratura moderna - dal momento che è uscito, ha lasciato per sempre il mondo in cui si inscrive il soggetto: un mondo in cui l’interesse principale è dato dal destino e dal carattere. Né il primo né il secondo sono essenziali per il santo. Egli infatti non è sottomesso al destino, mentre nell’arte moderna, come nella tragedia greca, ciò a cui assistiamo è la vicenda tra l’uomo e il suo destino. E l’espressione tradizionale, se non esclusiva, del destino nella letteratura moderna è la passione amorosa. Per quanto riguarda il carattere, esso per il santo non è così fatale, poiché esso è una cosa già creata, fissata, mentre il santo si lascia plasmare, in lui agisce tangibilmente la volontà creatrice di Dio. Né Dostoevskij né Pasternak hanno ricusato le condizioni del romanzo classico europeo, e questo li condanna all’insuccesso. Un “uomo assolutamente buono” (in entrambi gli scrittori quest’uomo è disperatamente “privo di carattere”) si trova attratto nel campo magnetico del destino. La sua santità (questo si può dirlo di entrambi i protagonisti) consiste nel suo essere disarmato. Non ha una volontà propria (totale è l’assenza di volontà di Jurij Zivago, incredibile la passività di Myskin), non persegue un proprio interesse. Questo vale anche per i suoi rapporti con i personaggi femminili, che non si possono descrivere nello spirito della “tentazione carnale”. Lo attira la compassione. Ma alla fine, egli non solo non salva, ma addirittura rovina la propria Maddalena e se stesso (il principe Myskin), oppure non la rovina, ma come nella poesia Fiaba, che sintetizza questa linea della narrazione del Dottor Zivago, sconfigge il suo aggressore, e poi cade insieme a lei in un torpore di cui non si vede la fine.Ma non si tratta solo dell’assenza del lieto fine, che in entrambi i casi sarebbe una grossolana violazione della verità artistica. Tutta questa linea amorosa sconfessa il protagonista come vincitore del mondo. In questo mondo non c’è posto per lui. Non è un genio del romanzo amoroso come il medievale Tristano. Non è una vittima pura nella sua tenzone contro il mondo. In questo genere letterario la sua mitezza appare pusillanimità. E, diranno le persone di buon senso, come volevasi dimostrare, un uomo che non è di questo mondo non deve immischiarsi nelle faccende di questo mondo. Il suo coinvolgimento si lascerà alle spalle solo un cumulo di macerie e una quantità di destini infranti. Ma l’epilogo dell’Idiota – il ritorno di Myskin nell’annullamento della follia, l’Europa solitaria, dove soltanto si può «compiangere questo infelice», come dice la generalessa Epancina – ci lascia con un’altra sensazione: quanto è accaduto nel romanzo non è stato un insuccesso o un fallimento, ma il miracolo dell’apparizione di un Uomo che in qualche modo riscatta la vita di tutti coloro a cui è stato legato. Forse, a spiegare questa strana illuminazione ci può aiutare il finale del Dottor Zivago: dopo la fine così anonima del protagonista assistiamo alla sua vittoria, alla sua “seconda venuta”, sotto forma del quaderno dei suoi scritti che capita nelle mani degli amici. «Agli amici ormai invecchiati, seduti alla finestra, pareva che quella libertà dell’anima fosse giunta, che proprio quella sera il futuro si fosse tangibilmente calato in quelle vie, là sotto, che loro stessi fossero entrati nel futuro e lì si trovassero d’ora in poi» . Non è l’idea banale che la vita dell’artista è riscattata dalle sue opere a interessarci qui, ma il tema dell’“entrare nel futuro”, in una «sommessa musica di felicità». Così, anche quanti hanno preso parte alla vita del principe Myskin, che non lascia di sé alcuna opera se non modelli di antiche calligrafie, devono a lui l’esperienza che fanno. Nelle ultime lettere di Pasternak incontriamo l’idea di un «futuro già pronto», del sopraggiungere di una felicità senza eguali, talmente nuova che «le cose di prima sono passate». Quest’esperienza eccezionale, di un’inaudita semplicità, è legata al suo lavoro al romanzo, e innanzitutto alla sua vita cristiana. Di ciò che è “passato”, per molti aspetti fa parte anche il mondo di Dostoevskij. Non che il sottosuolo, gli inferi della psiche, «le pieghe perverse» dell’anima siano aboliti ma il loro svelamento non rientra più tra i compiti dell’artista Pasternak. Le catastrofi del secolo hanno trasformato le metafore del passato in una quotidianità che non ha bisogno di dimostrazioni. In queste immagini non c’è più futuro e, quindi, non c’è più arte.
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