lunedì 1 settembre 2014
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Provate a chiedere a Sergio Zavoli – che a Ravenna è nato – di tratteggiare il carattere dei suoi concittadini. E lui vi dirà con assoluta sicurezza: «Non conosco luogo del nostro Paese che somigli tanto ai suoi abitanti, rimasti indenni rispetto a una storia così travagliata e cangiante». Il senatore a vita, che Indro Montanelli aveva definito il «il principe del giornalismo televisivo», conosce a fondo l’Italia. E la città che aspira a essere Capitale europea della cultura e che l’ha chiamato a presiedere il comitato organizzatore.«Ravenna – spiega Zavoli – vive un’inimitabile forma dell’origine e dell’identità. Il pescatore di anguille e il mercante di icone, il cultore d’arte e l’ingegnere chimico, il cittadino geloso della rarità e della bellezza e nondimeno incline a rispettare il tuo pragmatismo, tutti si conformano a una sorta di naturale attitudine a somigliarsi in una comunità che pare stretta dalle mura di cinta ed è invece aperta ai tanti volti della sua storia, purché esenti dall’intolleranza e dalla violenza».Il pensiero del “socialista di Dio” va ai tesori della città. «Sono tra i meno esibiti e i più ambíti del mondo. Solo l’Oriente protegge tanto i propri gioielli. Ma Ravenna difende quella disciplina museale con una lettura laica della sua spiritualità, riconoscendo a ciascuno il diritto alle proprie e più private, interiori emozioni, consapevole che la bellezza, come la regola, vale per tutti». Un patrimonio che quasi cozza con il paesaggio industriale compreso fra il cuore storico e il mare. «All’inizio dei grandi mutamenti, non solo nostrani – sostiene l’ex presidente della Rai – i ravennati conobbero il volto ignoto degli idrocarburi. La grandiosa magia di quell’impianto si mostrò di notte, quando lungo il Candiano, il porto-canale della città, apparì una sequela di castelli luminosi degni del più visionario set cinematografico. Prima di giudicare le sorprendenti e nondimeno inquietanti pretese dell’“estraneità”, respinta dai conservatori, Ravenna aveva già messo mano all’avvedutezza, cioè alla misura del ragionevole e del temerario». Per Zavoli, è stata una «scelta coraggiosa». E aggiunge: «Il percorso è stato breve e arditissimo: il mercato mondiale delle granaglie, il metano, il petrolio, la raffineria, il primo “pane” di gomma, le piattaforme marine, con l’introduzione di tecnologie avanzatissime, divenute famose ovunque. Così Ravenna si è data anche l’immagine di una città avvezza ai cambiamenti».Tutto ciò mostra – secondo il giornalista – che la città «non ha solo il primato di un impero e di un regno, degli ori e degli incendi, dei santi e dei cavalieri, dei capitani d’armi e di industrie, dei poeti e dei marinai, del prezioso linguaggio del mosaico, della musica e persino dei silenzi. Senza indugiare nelle orgogliose solitudini, né piegandosi sotto il morso delle sconfitte – prosegue Zavoli –, ha inseguito un continuo futuro; nella basilica di San Francesco, accanto alla tomba di Dante, i giovani vengono sin qui, ancora in viaggio dall’Oriente e dall’Occidente, insieme con chi ha tradotto la Commedia in ogni angolo della terra per comunicare una così universale cognizione della cultura. Nel nome di Dante, il poeta della più allegorica e alta rappresentazione del “grande vincolo umano”, Ravenna genera la visione di un molteplice mondo di conoscenze e saperi, esperienze e capi d’opera, ricerche e responsabilità che alimentano una sorta di esemplare enciclopedia delle risorse umane».E all’Europa che cosa può dire la città? «Scontate le concrete e visibili ragioni di una comunità che ha conosciuto una così durevole vocazione creativa, tutti possono apprendervi la rara lezione dell’armonia; perché ogni cosa richiama il bene della reciproca conoscenza e di solidali principi; perché il suo destino sembra quello di tener vivo un luogo in cui si entra per risvegliare il pensiero e innalzare l’animo, e dove il dialogo è un ideale e un metodo».
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