martedì 9 ottobre 2018
Il coreografo siciliano in scena a MilanOltre. «Se non ci fosse stato il primo omicidio della storia, addirittura un fratricidio, avremmo avuto una umanità meno violenta?»
Una scena di "Corpo a corpo" coi danzatori della Compagnia Zappalà ispirato a Caino e Abele

Una scena di "Corpo a corpo" coi danzatori della Compagnia Zappalà ispirato a Caino e Abele

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«Dopo i miei lavori su Eva e Caino e Abele, nel mio progetto Transiti Humanitatis sogno di mettere in scena un assolo su Gesù Cristo». Si definisce un agnostico, molto rispettoso e profondamente affascinato dalla Bibbia e dalla spiritualità Roberto Zappalà, da 25 anni punto di riferimento per la danza contemporanea con la sua Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza, uno dei tre Centri Nazionali di Produzione della Danza riconosciuti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Il coreografo catanese prosegue l’indagine intorno ai destini dell’umanità del progetto Transiti Humanitatis, iniziato con Oratorio per Eva e La Nona (dal caos il corpo) che stasera sarà al Teatro Elfo Puccini per il festival MilanOltre, mentre domani sarà di scena con Corpo a corpo, lavoro su Caino e Abele che inizia con un vero match fra due pugili. Quest’estate al festival Bolzano Danza, Zappalà aveva presentato la versione più elaborata del progetto sul primo omicidio dell’umanità, Liederduet , due “meditazioni” sul bene e il male. Inoltre a febbraio riprenderà dopo 10 anni a Catania A semu tutti devoti? un suo lavoro su Sant’Agata, protettrice della città, e la sua grande processione.

Zappalà, da dove nasce la sua riflessione intorno a Caino e Abele?

«La prima meditazione è Corpo a corpo ed è una lotta fratricida fra gli esseri umani. Siccome però sono un positivo, nella seconda meditazione Come le alirappresento un sentimento amorevole, di scambio e in pace sintetizzato in danza nella parola simbiosi. 'Se non ci fosse stato il primo omicidio della storia, addirittura un fratricidio, avremmo avuto una umanità meno violenta?'. A questo ho pensato sin dall’inizio del progetto Transiti Humanitatis. Un tema già affrontato in Oratorio per Eva, o nella Nona che parla di pace dell’umanità».

Mai tanto a rischo come oggi...

«La domanda sembra semplice, ma in realtà è molto profonda, anche rispetto all’attualità, a tutti gli odi. L’omicidio è l’odio che c’è all’in- terno dell’umanità. Il fatto che si parli di razza di un popolo, si additi il colore di un altro crea un conflitto societario, economico, di appartenenza a un territorio».

La sua danza arriva in modo chiaro al pubblico. «Io da quasi 10 anni sto lavorando sull’idea di semplificazione dell’atto coreografico che non significa portarlo all’estrema banalità, ma portarlo alla purezza, a una forma curata. Anche le debolezze del corpo del danzatore possono essere forza. Cerchiamo di andare verso l’autenticità, e questo arriva al pubblico».

Lei come si rapporta con la Bibbia e la spiritualità?

«Io solitamente metto in scena una materia quando non la conosco, per saperne di più. Sono agnostico, non ho un rapporto spirituale con Dio come credente, ma ho un rapporto di grande rispetto. E anche se non ci credo, tutto mi affascina moltissimo. Io mi emoziono, se vedo un film su Gesù o se leggo i passi della Bibbia. E spero che si noti. Io vorrei fare anche un lavoro su Gesù Cristo proprio perché Transiti Humanitatis non è finito. Vorrei fare un solo».

Lei lo hai già incontrato curando le coreografie del musical 'Jesus Christ Superstar' del Teatro della Munizione nei primissimi anni 90.

«Fu un’esperienza meravigliosa 30 anni fa, eravamo un gruppo di giovani siciliani dai cantanti al regista Massimo Romeo Piparo, ora direttore del Sistina. Io non avrei mai imitato gli americanismi del film, ma piuttosto abbiamo sconvolto tutto lavorando sul minimalismo. Fu un successo con oltre 500 repliche. E quel nucleo, il Balletto di Sicilia, si è evoluto in Zappalà Danza».

Lei comunque è tornato a Catania per crearvi il suo centro di produzione.

«È formato da ballerini tutti internazionali, 30 anni fa non c’era nulla di simile in Sicilia. Sono tornato perché avevo bisogno di stare da solo in un ambiente più fresco di linguaggio. Le difficoltà comunque non mancano quando hai una compagnia e produci due o tre spettacoli l’anno: io ne ho prodotti sinora 70».

E il suo rapporto con l’opera lirica?

«Il Regio di Torino mi ha commissionato le coreografie de La giaradi Alfredo Casella che debutterà il prossimo giugno abbinato a Cavalleria Rusticana. Ma a una vera opera lavorerò quando un coreografo si riuscirà ad imporre come regista. Come mai non ci sono registi coreografi? Credo che rinnoverebbero alcuni canoni e svecchierebbero certe regie francamente un po’ noiose. Se mi facessero la proposta giusta, io potrei accettarla. I sono molto affascinato dal Woyzeck di Bruckner. Avrei voglia di ricercare, dare un’altra visione all’opera».

Che consiglio da ai giovani aspiranti ballerini e coreografi di oggi?

«Quando io ero ragazzino la scelta di fare il danzatore è venuta da un po’ di ribellione. Io giocavo a calcio in Prima categoria. Per amore di una ragazzina ho cominciato a frequentare le scuole di danza. La danza è una cosa strana, o non ti piace o ti entra dentro. E mi è entrata talmente dentro che ho lasciato il calcio. I ragazzi di oggi hanno miliardi di occasioni in più, ma non se ne rendono conto. Ai giovani auguro che possano avere le possibilità per emergere, senza attendere troppo. Ma li invito a non essere troppo sbrigativi, i ragazzi pensano che tutto sia facile e immediato. Quello che è difficile è mantenere il livello».

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