martedì 20 luglio 2010
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Costantemente in viaggio per il mondo, Parag Khanna ripercorre in qualche modo le orme di Arnold J. Toynbee, il grande storico inglese che esplorò l’ascesa e il declino delle grandi civiltà del passato. A differenza di Toynbee, che visitò i Paesi di cui aveva scritto solo dopo aver terminato il suo monumentale studio comparato, Khanna è invece convinto che per conoscere realmente un Paese sia indispensabile analizzare da vicino, e in profondità, luoghi e popolazioni. Anche per questo, Khanna – ricercatore presso la New America Foundation di Washington e direttore di Global Governance Initiative – è divenuto negli ultimi anni uno tra i più influenti esperti di geopolitica. Il suo libro I tre imperi, tradotto in una dozzina di lingue (in italiano da Fazi), è in gran parte il risultato della sua instancabile "esplorazione" del globo. Ma è anche un tentativo di reintrodurre l’elemento geografico nella lettura delle trasformazioni politiche contemporanee. Molti autori parlano di un "mondo post-americano". Ciò significa che è già finito il "momento unipolare" che ha segnato gli ultimi due decenni? Siamo davvero dinanzi all’ascesa di un nuovo multipolarismo? «In effetti penso che viviamo già in un mondo multipolare, i cui attori principali sono gli Stati Uniti, l’Europa e la Cina. La differenza rispetto al passato non consiste nella contemporanea presenza di più potenze, ma piuttosto nel fatto che ognuno di questi grandi Stati esercita una forte attrazione nei confronti di aree diverse. In qualche modo, si tratta di un ritorno delle grandi dimensioni geografiche. Anche in un’epoca di globalizzazione e di forte sviluppo tecnologico, proprio le caratteristiche geografiche – la popolazione, le barriere naturali, la prossimità fisica, gli sbocchi al mare – tornano infatti a giocare un ruolo enorme. Stati Uniti, Europa e Cina sono dotate di risorse che le rendono degli "imperi", mentre altri Stati pur importanti, come Brasile, India, Giappone o Russia, ne sono privi. E per questo non potranno rivestire un ruolo da superpotenza nel futuro assetto multipolare».Non ci dobbiamo attendere anche un ritorno delle ambizioni imperiali della Russia?«L’ascesa di cui la Russia è stata protagonista negli ultimi anni non deve essere sottovalutata, ma non penso che abbia delle radici profonde, né che sia destinata a proseguire nel futuro. Ci sono infatti dei limiti strutturali, con cui Mosca deve fare i conti. Innanzitutto, la situazione dell’economia: anche se la crescita del prezzo del petrolio sembra assegnare un grande potere alla Russia, in realtà si tratta di un potere dalle basi piuttosto fragili, perché dipende dalla richiesta proveniente dall’estero. Inoltre, la Russia è fortemente indebolita dal punto di vista demografico, perché, a fronte di un territorio sterminato, perde costantemente popolazione ed è sottoposta a una crescente penetrazione cinese. Sono soprattutto questi elementi che fanno ritenere che  nei prossimi decenni il Cremlino dovrà abbandonare le ambizioni da grande potenza, volgendosi verso la Cina o verso l’Europa».Ne "I tre imperi" ricorre spesso il nome di Arnold J. Toynbee. Lo storico britannico riteneva che l’ascesa e il declino delle civiltà dipendessero dalla capacità delle "minoranze creative" di rispondere alle sfide ambientali e geopolitiche. L’Unione Europea di oggi è in grado di rispondere efficacemente alle sfide del XXI secolo?«La crisi politica non è una novità per l’Unione Europea, e dunque anche la gravità della crisi attuale non indebolisce la mia piena convinzione nel futuro del progetto delineato a Lisbona. Penso infatti che l’Eurozona si estenderà ulteriormente e che l’Ue, in ultima analisi, continuerà a crescere (anche i termini geografici). Nel passato, l’Unione Europea ha dimostrato una straordinaria capacità di rispondere positivamente alle crisi. E anche in un momento così difficile come quello odierno, penso che le cose andranno nello stesso modo. D’altronde, possiamo vederne già adesso un segnale piuttosto significativo nel fatto che i Paesi che vorrebbero fare ingresso nell’Eurozona sono ben più numerosi di quelli che invece vorrebbero uscirne».Quando sarà pubblicato il suo prossimo libro, "How to Run the World"? E di cosa parlerà?«Il libro sarà pubblicato nel 2011. Tratta del futuro della diplomazia e anche di un mondo che somiglia molto al Medioevo. Ma parla anche del modo in cui è possibile uscire da questa situazione, procedendo verso una sorta di "nuovo Rinascimento". Come potete immaginare, la storia italiana è stata per me una straordinaria fonte di ispirazione».Cosa ci dobbiamo attendere allora nei prossimi anni da questo "nuovo Medioevo"? Ci aspetta una stagione di nuovi conflitti, una crescita della violenza politica, o ci sono anche segnali positivi?«È molto difficile rispondere a questa domanda. Ciò che intendo sostenere è che ci sono sicuramente molti paralleli tra il futuro che ci attende e l’assetto politico che caratterizzò il Medioevo, dopo la caduta di Roma, fra il V e il X secolo. Anche nel nuovo Medioevo, accanto agli Stati nazionali, ci sono infatti imperi, grandi metropoli globali (come Los Angeles, Londra, Dubai e Hong-Kong), compagnie multinazionali, una forte componente di violenza privata (data per esempio dalle organizzazioni terroristiche). Ma non dobbiamo intendere l’avvento del nuovo Medioevo solo in termini negativi. Ci sono infatti molte possibilità di sciogliere tutti questi nodi, anche grazie all’azione di nuovi attori della politica internazionale. La nuova diplomazia portata avanti da attori non tradizionali, come università, organizzazioni non-profit, associazioni filantropiche, può infatti costituire uno strumento formidabile per rispondere ai drammatici problemi dei prossimi anni. E anche per guardare al nostro futuro con relativo ottimismo».
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