sabato 20 settembre 2014
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ConvegnoDemocrazia e rete per RezzaraQuello cominciato ieri pomeriggio in un’aula strapiena (più di 200 partecipanti) e dedicato alla Partecipazione democratica nell’era informatica è il 47° convegno organizzato dall’Istituto di scienze sociali "Nicolò Rezzara",  che quest’anno compie mezzo secolo di vita e per la prima volta lascia la storica sede di Recoaro per approdare a Monte Berico, a due passi dal Santuario, ospite dell’Istituto superiore di scienze religiose. Aperto da Luciano Righi, presidente da dieci anni (direttore dell’Istituto è monsignor Giuseppe Dal Ferro), e con i saluti del vescovo Beniamino Pizziol e del sindaco Achille Variati, ieri il convegno ha visto intervenire anche Giovanna Mascheroni dell’Università Cattolica, studiosa della partecipazione online, ossia attraverso i media, e quella offline, ossia tradizionale, tra i giovani italiani. L’incontro si conclude oggi con gli interventi di Gianpietro Mazzoleni, Antonio Preto, Giancarlo Rovati al mattino e Fiorella De Cindio, Giampaolo Azzoni e Anselmo Grotti al pomeriggio. (U.Fo.)«Ogni popolo ha bisogno di altri popoli». Non per sopportarli, ignorarli, peggio ancora temerli e combatterli. La relazione è tale quando si arricchisce dell’elemento della reciprocità: «Ogni persona 'sente sue' le altre persone; ogni popolo 'sente sue' le ricchezze e i bisogni di altri popoli». Termina in crescendo l’intervento del cardinale Pietro Parolin, il segretario di Stato vaticano tornato per poche ore nella sua terra vicentina (e almeno qui ne pronunciano il cognome in modo corretto, con l’accento sulla i), prima di volare in Albania con papa Francesco. L’Istituto Rezzara gli affida la prolusione del convegno su «Partecipazione democratica nell’era informatica» chiedendogli di spiegare come la “relazione” sia “cardine dei rapporti internazionali”. E lui non si tira indietro, mettendo per primo nelle sue parole quell’“anima” che reclama necessaria alle relazioni autentiche, anche quelle internazionali, che non si riducano ai dialoghi e alle schermaglie tra le cancellerie.  La rete, il web, internet sono importanti ma né lui né gli altri relatori del pomeriggio vicentino la esaltano. Neppure la denigrano. Cosa rara, esercitano il pensiero critico. Parolin, per esempio, vorrebbe che il web condividesse non solo notizie, ma valori, «per non limitarsi a trasmettere segnali, immagini, sensazioni o slogan, ma per saper riconoscere responsabilmente la presenza delle identità diverse e il loro ruolo». Non sono cose molto diverse da quelle dette poco prima da Fausto Colombo a proposito di un web che può essere formidabile occasione di dialogo, ma anche di arida difesa o affermazione delle proprie posizioni. No, il leit motiv di Parolin si gioca su due termini contrapposti, esclusione e inclusione: «Dobbiamo far nostro il valore dell’inclusione, e cioè operare perché nessuna identità sia lasciata ai margini». E ancora: parità contro disparità, quella 'parità assoluta' che è l’unico piano accettabile sul quale debba svolgersi l’esistenza dei popoli e delle comunità. Come? Fondando la vera giustizia «sui valori, prima ancora che sulle regole». E infine multilateralismo e non individualismo. Accade infatti, ed è un passaggio amaro di Parolin, che «di fronte a situazioni nuove, impreviste, sconosciute in alcuni casi, che richiedono una soluzione comune, si proceda con opinioni unilaterali. La conferma della crisi del multilateralismo, che sembra sopraffatto da una propensione a scelte individuali, all’isolamento o alla ricerca di intese particolari, in evidente controtendenza a quanto riscontrato negli ultimi settant’anni». E anche qui la contiguità con Colombo è evidente, quando il massmediologo dell’Università Cattolica ricorda come da una società «costruita sul bene comune» si sia scivolati verso una società che «mette al centro il diritto brutale dell’individuo». «La nuova relazionalità – ricorda Parolin – impone di riscoprire il valore dell’unità della famiglia umana, quella fraternità che consente alle diverse comunità o gruppi umani di fondere reciprocamente la propria identità». Non teme di ricorrere alla parola 'identità', il segretario di Stato, liberandola dalle pastoie di chi a lungo l’ha vista, e la vede ancora, come opposta a 'dialogo' e 'mediazione'. L’identità è necessaria per uno scambio. Parolin parla di «diritto all’identità e diritto alla partecipazione, sfuggendo quei toni esasperati che fanno della loro affermazione un risultato esclusivo ed escludente, quindi privo di ogni considerazione per tutto ciò che è altro». Non c’è spazio in questo orizzonte per i fondamentalismi d’ogni impronta, ma neanche per chiusure e timori. Poco prima di lasciare Vicenza, parlando ai giornalisti Parolin anticipa, se vogliamo, i contenuti di ciò che papa Francesco dirà al Parlamento europeo, «momento importantissimo, perché sarà il primo contatto con le istituzioni europee. Ricorderà le radici cristiane dell’Europa, quell’anima dalla quale non può prescindere per risolvere i suoi tanti problemi economici e sociali, a partire dalla sicurezza, dalla solidarietà e dall’attenzione verso le classi più vulnerabili. Incoraggerà i parlamentari europei e li richiamerà alle loro responsabilità». Quanto al referendum scozzese, Parolin, pur non entrando direttamente in merito, non nasconde un certo sollievo: 'Le difficoltà suscitano paura e la tentazione più facile può essere quella di chiudersi. Ma così non può esserci alcuna crescita'. Il finale è sugli 'altri', da sentire vicini e reciproci. Ennesimo incontro fortuito con Colombo, che termina citando Giorgio Gaber che nella Canzone dell’appartenenza rivela il sogno di poter 'avere gli altri dentro di sé'. E qui il cerchio si chiude davvero.

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