giovedì 1 novembre 2018
L’azzurro n.3 del ranking mondiale, 18 vittorie nel 2018, punta già il 2019 «Ho due sogni: Gand e Sanremo. L'idea del Giro tutto italiano mi piace. A trent’anni mi sento pronto per il Tour»
Il corridore Elia Viviani 18 vittorie stagionali, n. 3 del ranking mondiale

Il corridore Elia Viviani 18 vittorie stagionali, n. 3 del ranking mondiale

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I numeri non diranno tutto, però qualcosa dicono. Anche nel ciclismo, al termine di una stagione lunga e logorante, in questo periodo si fanno i conti. Si tirano le somme e si scopre con assoluto piacere che quello che ha vinto di più è un italiano, veronese di Isola della Scala, residente a Montecarlo, oro olimpico a Rio, grande pistard che ormai può anche dire di essere grande anche su strada. Parliamo di Elia Viviani, numero tre del ranking mondiale, ma numero uno assoluto in base alle vittorie: 18. Nessuno come lui. Nessuno capace di raccogliere 18 affermazioni, arricchite e impreziosite da quattro tappe al Giro d’Italia e tre alla Vuelta. Alejandro Valverde, per dire, si è fermato a quota 14. «Ma lui è di un altro pianeta, e io baratterei volentieri tutte le 18 vittorie raccolte in stagione per vestire un anno interno la maglia di campione del mondo», ammette sereno e sorridente Elia Viviani, di ritorno da quindici giorni di vacanza a Lampedusa con Elena Cecchini, anche lei campionessa di ciclismo. Spesso siamo portati a guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto. E allora ecco che ci sprechiamo in analisi che sono da taglio delle vene. Non siamo riusciti a salire una volta sul podio di un Grande Giro. Dietro a Vincenzo Nibali che quest’anno ci ha regalato l’unica corsa Monumento (la Sanremo) non abbiamo nessuno. E via di piagnistei.

Eppure, se stiamo bene a guardare, era dal 2005 che un italiano non si faceva trovare in cima alla graduatoria mondiale dei plurivittoriosi: Alessandro Petacchi, con 25 successi. Ma Viviani è soddisfatto dell’ annata?
«E come potrei non esserlo – ci confida il veronese della Quick-Step che il prossimo anno si chiamerà Deceuninck e che ieri era a Milano per la presentazione del Giro in compagnia di Chris Froome – . Se me lo avessero detto alla vigilia non ci avrei creduto. Ho vinto tanto e bene. E quello che più conta è che sono riuscito a farlo nell’arco di tutta la stagione».

Ricordiamolo, 18 vittorie ottenute (in 87 giorni di corsa)
«Successi che mi hanno consentito di salire a 67 vittorie in carriera. Insomma, il bottino su pista era già bello pingue, ora si sta riempendo anche quello su strada. Anche se so perfettamente che le vittorie si contano, ma devono anche essere pesate. Le mie sono pesanti, ma non pesantissime. Quest’anno, ad esempio, ho perso una Gand-Wevelgem (battuto da Sagan, ndr) che mi brucia ancora. Quella per me è una classica, una corsa di peso. Mentre il sogno è e resta la Sanremo».

Vacanze finite si torna a lavoro per preparare il 2019?
«Diciamo di si anche perché tra pochi giorni (dal 13 al 18 novembre) correrò la Sei Giorni di Gand con Keisse. Così come almeno una prova di Coppa del Mondo su pista, a Berlino, dal 30 novembre al 2 dicembre».

Dei “diciotto hurrà”: quale il momento migliore della stagione?
«La vittoria finale alla Vuelta, quella di Madrid è stata davvero una gioia immensa. Mi sarebbe piaciuto vincere anche la tappa finale del Giro, quella con traguardo a Roma, ma sapete tutti come è andata a finire. Però se devo pensare a come sono stato sotto l’aspetto tecnico, bene, al campionato italiano vinto sulle strade di Boario Terme sono stato sem- plicemente perfetto. Quel giorno mi sono sentito davvero in stato di grazia».

Il momento più brutto ce l’ha già detto: sulle strade della Gand, per colpa di Peter Sagan. Ma lo slovacco è davvero imbattibile?
«Peter è un fuoriclasse, ed è per questo che considero importantissime le vittorie ottenute alla Vuelta battendo proprio quello che in quel momento era ancora il campione del mondo in carica. Io penso di avere un picco di velocità molto più buono del suo. Molto più alto. Però Peter, come ti dicevo, ha un talento immenso. Ha tenuta e resistenza: è molto più completo del sottoscritto».

Adesso, dicono, arriva il difficile: ripetersi per migliorarsi…

«Lasciatemi ancora qualche giorno per godermi questa stagione eccezionale, poi comincerò a pensare al prossimo anno, anche se in cuor mio ci sto già pensando. A livello di attività penso di ricalcare la stagione di quest’anno. Il via in Australia, con due grandi sogni: Gand e Sanremo. Poi ci sarà da scegliere tra Giro e Tour. A 30 anni vorrei provare ad andare in Francia, che mi solletica non poco. Però ho sulle spalle anche la maglia tricolore, e mi piace parecchio anche l’idea del Giro. Insomma, in questo momento della stagione dove si fanno i programmi e si valuta un po’ tutto, sono ancora molto indeciso ».

Viviani, dica la verità: si sente il velocista più forte del mondo?
«Quest’anno lo sono stato: lo dicono i numeri, e lo dicono i risultati».

Da ragazzino, quando ha cominciato con il ciclismo a chi si ispirava, chi sognava di diventare?
«Quando ero piccolo piccolo sognavo di diventare come Marco Pantani: il “Pirata” mi faceva impazzire. Poi le caratteristiche mi hanno portato a pensare a Tom Boonen. Ma oggi sono felice e orgoglioso di essere semplicemente me stesso, Elia Viviani».

Chi è stato il concorrente che più l’ha sorpresa nel 2018?
«Ce ne sono stati almeno quattro: Geraint Thomas, che ha vinto a sorpresa il Tour de France. Vincenzo Nibali, che ha vinto contro ogni pronostico e in modo fantastico la Sanremo. Alejandro Valverde, che a 38 anni ha conquistato il titolo mondiale dopo una carriera pazzesca. E poi dico Elia Viviani: Lei non pensa che sia stato sorprendente? ». Innegabile, Viviani è stata la più bella sorpresa o la più bella conferma del ciclismo italiano dell’anno che sta per finire.

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