sabato 19 luglio 2014
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Un’estate calda tra i cadetti del pallone, in cui la mancata iscrizione del Siena e le barcollanti realtà di Brescia e Varese non inficiano un bilancio complessivo «estremamente positivo», come quello tracciato da Andrea Abodi, presidente della Lega Serie B dal 2010, ovvero dall’anno in cui è stata fondata.Presidente ci siamo lasciati a fine campionato con la rinascita insperata de “la Bari”, mentre Siena è appena scivolata nei dilettanti.«Quella di Siena è un’altra storia rispetto a Bari e va conosciuta in profondità, altrimenti ci scontriamo solo con la durezza dei numeri. La crisi del Montepaschi ha sancito la fine di un’era e il risveglio è stato duro. Fa un’infinita tristezza perché dietro a un club c’è una maglia, una storia, comunità di appassionati, ma il calcio ti regala la possibilità di rinascere ed è quello che sta facendo il Siena (ha chiesto di ripartire dalla Serie D), così come mi auguro per il Padova (dopo 104 anni non è più tra i professionisti, ndr)».E adesso che succede al campionato?«L’Assemblea della Lega B, per la terza stagione sportiva consecutiva, ha deliberato - lo scorso febbraio - il blocco dei ripescaggi fino a 20 squadre e il Consiglio Federale ha a sua volta approvato tale decisione. Quindi la Serie B il prossimo 30 agosto partirà con 21 società. Il nostro progetto di riforma del Campionato prevede, dal 2010, un assetto a 20 squadre e io ho sempre auspicato di poter raggiungere l’obiettivo attraverso il campo, quindi per tutti noi è motivo di grande amarezza aver dovuto certificare la non iscrizione del Siena».Perché i tempi delle riforme in Italia, anche per il calcio, sono sempre lunghi e oscuri?«Credo sia arrivato il tempo delle scelte e delle decisioni. In agenda ci sono temi decisivi: la riforma dei campionati, lo sviluppo delle infrastrutture, la sostenibilità finanziaria, l’efficienza della giustizia sportiva. Non possiamo più attendere, perché è l’intero sistema-calcio italiano che ha bisogno di ripartire e di ricostruire un modello credibile e di consolidare la sua reputazione. Non dobbiamo neanche dimenticare che il calcio di vertice è certamente un’industria, ma ha un elemento distintivo che deve responsabilizzarci ulteriormente: con il calcio amministriamo le emozioni e le passioni della gente».Il fallimento della Nazionale ai Mondiali ha certificato l’urgenza di imitare la Serie B, il vero “campionato italiano”.«I numeri dicono questo: il 75% dei nostri tesserati sono giocatori italiani e di scuola italiana. Va anche detto che quando sono diventato presidente di Lega la vocazione all’italianità l’ho ereditata e credo che questa dovrebbe essere l’identità riconosciuta da tutto il nostro calcio professionistico, a cominciare naturalmente dalla Serie A».Dica la verità Presidente, è stata anche la crisi economica a favorire il maggiore impiego dei nostri ragazzi.«La crisi c’entra relativamente, perché l’italianità è uno dei nostri tre principi cardine, assieme alla giovane età e al rapporto consolidato dei club con il territorio. Scelte condivise da tutte le società, a cominciare dalle grandi, come il Palermo la scorsa stagione o il Torino e la Samp in passato. Club che nel momento in cui scendono di categoria si calano immediatamente e con grande umiltà nella nostra, sposando in toto la filosofia della Lega B».Siete riusciti a placare anche il “mangiallenatori” Zamparini: un solo cambio di panchina nel suo Palermo, Iachini per Gattuso.«Tra tutti i presidenti dei club di B posso assicurare che non ho mai colto cenni di protagonismo e tanto meno di arroganza. Vado fiero del clima di fiducia reciproca che c’è da parte di tutte le componenti. È un bel segnale che arriva dal calcio, specie rispetto alla diffidenza generale che serpeggia nel sistema Paese».Con Empoli e Cesena salite in A continua a trionfare il “piccolo è bello”.«È il successo dei modelli vincenti e della loro programmazione. Oltre all’Empoli e al Cesena ci sono realtà come il Cittadella che esprimono qualità rare in un sistema ossessionato dal cambio di allenatori e dall’infarcimento continuo di calciatori nelle rose. E questo perché hanno un modello sportivo e societario che nel tempo non varia, grazie alla stabilità e alle certezze delle rispettive proprietà». Oltre al “modello Cittadella”, classifica finale a parte, quali sono i club promossi a pieni voti nella stagione 2013-2014?«Menzione speciale per il Latina che ha fatto una stagione strepitosa. Complimenti anche a Crotone, Spezia, Modena e Bari che è stata la “favola” più bella. Il Bari ha portato al San Nicola 60mila spettatori per le gare dei play-off , quando ad inizio campionato non arrivavano a 2mila paganti, riaccendendo l’amore di una intera città verso la squadra e il calcio. Vorrei fare una citazione anche per il Lanciano e le neopromosse dell’anno scorso dalla Lega Pro: l’Avellino che dopo i fasti degli anni ’80 ha saputo ripartire con concretezza e lungimiranza, il Carpi e il Trapani».La B è anche il campionato delle “quote rosa” alla presidenza.«Non credo alle quote rosa, ma al valore aggiunto che le donne possono dare al mondo “molto maschile” del calcio, questo sì. E ne abbiamo avuto la riprova a Latina con la presidente Paola Cavicchi e a Trapani con il dg Anne Marie Collart Morace. Ma la copertina della stagione spetta a una scena vista a Lanciano...».E quale sarebbe la scena in questione?«Il presidente Valentina Maio che, in dolce attesa, tenendosi il pancione entra in campo ed esulta al gol (al 93’, ndr) del marito, Manuel Turchi. In quell’immagine c’è la sintesi di come da noi l’aspetto competitivo si fonde con la dimensione umana. Le gestioni famigliari, e non padronali, rappresentano l’humus che sta facendo crescere le nostre società».E le famiglie, almeno in B, stanno tornando allo stadio.«Abbiamo aumentato il numero di spettatori anche grazie alla nuova formula dei playoff a 6 squadre. Questa ha fatto sì che all’ultima giornata quasi tutti i club hanno avuto un obiettivo da raggiungere. La competitività garantita fino all’ultimo minuto della stagione ha ridato credibilità al campionato».Più credibili e anche più economici con il “salary cap”, il tetto agli ingaggi dei calciatori.«C’è chi ha collegato il nostro tetto salariale a quello americano o al taglio degli stipendi dei dirigenti pubblici. Noi da un lato abbiamo pensato esclusivamente al tenore di vita della gente comune e dall’altro al risanamento dei bilanci societari. L’inversione di tendenza operata dal salary cap e dal tetto alle “rose” ha funzionato sul piano finanziario, ma soprattutto è stata una svolta di tipo culturale».Un giudizio sul primo anno di presidenza Coni del suo amico Giovanni Malagò.«Ha dato un’anima nuova o forse un’anima che prima non c’era al Coni e alle Federazioni. Adesso si aprirà una fase in cui dovrà apportare correttivi sul versante delle sfide sociali alle quali lo sport potrà dare contributi importanti. Sul calcio mi auguro non ecceda nella comunicazione, perché la comunicazione non è sempre necessaria per trovare soluzioni. Nell’anno del centenario del Coni, sono certo che sarà riconosciuto il ruolo fondamentale svolto dal calcio nella grande famiglia dello sport italiano, con tutto quello che ne consegue».
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