martedì 25 settembre 2018
All’Arena di Verona il cantautore romano ha festeggiato i 40 anni dell’album “Nato sotto il segno dei pesci” con un concerto pieno di “sorprese” che meritava di essere filmato da Sorrentino
Antonello Venditti in un momento del concerto di Verona per i 40 anni dell’album “Nato sotto il segno dei pesci”

Antonello Venditti in un momento del concerto di Verona per i 40 anni dell’album “Nato sotto il segno dei pesci”

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Paolo Sorrentino ancora non lo sa... ma avrebbe dovuto filmarla questa stranissima notte di fine estate passata assieme ad Antonello. Appuntamento con il suo alter-egocentrico Tony Pagoda all’Arena di Verona («Palco Reale, come i signori! Circondati da 13mila anime paganti ») alle ore 20 di domenica 23 settembre per il concerto di Antonello Venditti: «Non è Il Compleanno di Cristina, sono i 40 anni del disco che gli ha spianato l’autostrada, ora un po’ deserta, del cantar leggero Nato sotto il segno dei pesci. Da qui, da Verona, è appena passato, con tanto di arco di trionfo, il gladiatore di Montesacro Claudio Baglioni, al secolo il “dittatore artistico” del Festival di Sanremo. E allora il tribuno “pop-olare”, Antonello (Pesci, nato l’8 marzo del 1949) non vuole essere da meno in questo tempio della lirica, ex reliquiario del Festivalbar salvettiano e oggi palco monografico per debuttanti allo sbaraglio (etichetta “Amici” della De Filippi) o per reduci della bella stagione della canzone d’autore. Venditti non può sbagliare. «Ci sono tutti, dalla vecchiaSora Rosa alla nipote adolescente, Ilary, sì, come la moglie del “Pupone” Totti che si collega dal salottino metereopatico di Fabio Fazio. E Antonello è spiazzato dal bello della diretta (Rai 1). Tony mi fa notare che all’Arena sono presenti anche tutte le donne, scritte e cantate, da Antonello. C’è Marta «che prega e nessun Dio risponderà». Giulia con «gli occhiali sul naso, parla di uomini e donne come sola lei sa». Cinzia sta ancora con Piero che non suona più il reggae di Bob Marley ma spesso nelle sere tristi, come certe «segretarie con gli occhiali » (chissà se sposano ancora avvocati?) ricordano di «quel giorno che Milano era Giamaica» (27 giugno 1980). Marina insegna ancora in una scuola, ha portato i suoi alunni del Liceo Giulio Cesare (classe III E) a sentire Antonello cantare dal vivo Compagno di scuola. Lauraè «laureata, ma dopo mille concorsi» è finita in banca pure lei, «fa l’impiegata». Manca solo Lilly, quei «quattro buchi nella pelle » gli furono fatali, non c’è più da tanto. «M’è morto anche il “gobbo” de Cocciante... », sbotta Antonello quando il monitor del leggìo elettronico si spegne. E qui inizia lo spettacolo nello spettacolo. Antonello sale in cattedra e attacca sermoni esilaranti che vanno dalla sua “musica primitiva”: «Sono stato il primo tra i cantautori a parlare di politica, di Sessantotto, di omosessualità, di una squadra di calcio ( Grazie Roma) e di droga... Con Lilly nel 1975 schizzai primo in classifica. Mi censurarono anche ( Compagno di scuola)... ». Raggio di luna sfuma ovattata, e la luna lassù in cielo non bussa, ascolta l’inconfondibile vibrato belante vendittiano e se la ride di gusto, con noi. Perché il monitor non si aggiusta, il pianoforte non esce dalla scatola nera della scenografia, il microfono fischia assordante e la scaletta salta. E Venditti impreca. È un “vaffa-night” urlato alla Rugantino. I poveri tecnici si affannano per rimediare ai guasti imperdonabili, zompettano alacremente tra i tralicci davanti all’Antonello furioso che li scambia per cavallette. «Ce mancano solo quelle... – dice sconfortato –. Qui è lo specchio dell’Italia, è più facile distruggere che ricostruire». Ha le visioni, invoca Padre Pio e tornano a trovarlo i fantasmi del passato – spiegherà nel backstage –. «Quando ragazzino, io per gli altri ero solo “cicciabbomba”. E i complessi peggiori per quelli della mia generazione erano due: essere obeso e non portare i capelli in testa. Adesso essere calvi va de moda... Ma all’epoca Lucio Dalla s’è dovuto mettere il parrucchino».

«Canta Antone’, non parlare più!», sbotta Tony Pagoda alla terza birra e alla ventesima litania su venti brani eseguiti. Venditti va lungo su Le cose della vitache fanno piangere i poeti ma anche i suoi «tanti amici». La rivolta degli oggetti e della tecnologia continua. Il destino crudele «si prende gioco di me» e Antonello i suoi profondi Segreti che non stavano in scaletta, come Compagno di scuola («ma la faccio lo stesso, chemme frega»), li mette in piazza. Quando è lì per issare la bandiera bianca della resa, allora si appella al potere forte della nostalgia. «La grande bellezza è imperfetta. Stasera siamo dentro a una bolla temporale, siamo nel 2018 ma sembra un concerto anni ’70, al Folk Studio, quando non funzionava un ... (bip). Questo concerto è una narrazione, una magia e la magia non può essere interrotta dai tempi televisivi. A me della tv non me ne frega niente. A me interessa solo di voi che siete qui e siete un pubblico vero e non quei figuranti dei programmi in tv». Tony Pagoda all’ennesimo blackout sul palco va in ansia, fissa il vicino di palco, Gianluigi Nuzzi: ha lo sguardo basito, eppure è uno abituato ai delitti e i castighi televisivi di “Quarto grado”. Ma è troppo anche per lui. Dietro le quinte, è troppo anche il tempo d’attesa dell’amico e sodale Caro Francesco, il De Gregori sedotto e abbandonato subito dopo l’album Theorius Campus( 1972). Il “Principe” a passo lento e con aria “dylaniata” rende omaggio a Bomba o non bomba in cui l’Antonello del ’78 aveva profetizzato l’avvento del “rottamatore fiorentino”. «“A Firenze dormimmo e un intellettuale, la faccia giusta, e tutto quanto il resto...” Aho’, non so se lo avevate capito, ma questo è Matteo Renzi, quarant’anni prima». Nel caos per niente calmo l’unica missione di Antonello è riuscire a fare l’integrale, con la band di adesso e quella di allora, del “festeggiato”, Nato sotto il segno dei pesci. Ci riesce, e così può festeggiare con il suo «nuovo amico» Ermal Meta che prima di celebrare il maestro Caro Antonello («una delle più brutte canzoni dai tempi di Natalino Otto», sospira Tony Pagoda) intona, agitandosi invano, Che fantastica storia è la vita. Niente a che vedere con il canto degregoriano Sempre e per sempre che illumina d’immenso e ridà piena dignità ad Antonello che accompagna il Principe in punta di Penna a sfera. All’Arena dopo tre ore e mezza sincopate, da «concerto blues» (parola di Venditti) ci si accorge del-l’estate, che sta finendo, e quella conserva l’atmosfera tenue di Alta marea (cover preziosa dei Crowded House). Antonello dopo la mezzanotte prende coscienza della deriva: manca ancora mezza scaletta per l’approdo della serata, così tenta l’ideale Correndo correndo alla Sebino Nela. Sussulti e grida, eppure qualche malumore. Ma appena attacca Roma Capoccia l’Arena si scioglie. E non c’è bisogno di chiedere Ci vorrebbe un amico, perché caro Antonello «so’ centomila voci che hai fatto innamorà». Il finale? Un monitor rotto dal quale Tony Pagoda mi saluta e mi invita a Roma (21-22 dicembre al Palalottomatica, inizio del Tour di Antonello) confermando il giudizio già dato a Sorrentino: «Venditti ha da anni un successo clamoroso, ha composto centinaia di canzoni, ma è come se non avesse trovato ancora la canzone che smaschera la sua sdrucciolevole difficoltà di stare al mondo».

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