martedì 19 maggio 2015
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Ha detto Mark Twain: «Non tutti i cavalli sono nati uguali. Alcuni sono nati per vincere». E il “mito” Varenne ha vinto più di tutti. «Sono 51 Gran Premi, più un’infinità di record stabiliti in pista che hanno resistito per anni». È il saluto di benvenuto di Roberto Brischetto e di suo figlio Jacopo, i nobili signori di questa “reggia di Venaria” per i cavalli che è il loro allevamento, Il Grifone. Siamo a Vigone, nel torinese, cinquantacinque ettari di prati verdi su cui pascolano placidi e sereni una cinquantina di splendidi esemplari equini. Sono i cortigiani di sua maestà, re Varenne, che ha appena terminato la sgambata quotidiana e gli esercizi al tondino con la “tata”, Anna Crespo che gli sistema il “mosquero”: «Da quando lo punse una vespa, non sopporta la sola vista degli insetti». Dalla staccionata del suo paddock, curato, coccolato e sorvegliato a video dalle telecamere, fissiamo questa creatura dall’aurea magica che ha fatto piangere i francesi e ottenuto dagli americani il privilegio esclusivo dell’ingresso nella Hall Fame del sulky.Lo osservi e davvero pare mancargli solo la parola, confidiamo alla dottoressa Giovanna Romano, la sua veterinaria. «Io ho due figli, ma Varenne è il terzo», dice salutandolo materna e lasciandoci soli con il nostro eroe che termina il pasto quotidiano: mele biologiche e tre chili di fieno degustati con l’eleganza del bon viveur. Ogni boccone prima lo bagna in un secchio d’acqua.Cose da Varenne: ma sembra di vedere un bambino che inzuppa il biscotto nel tè.«Ma io non sono un bambino - potete anche non crederci, ma da qui in poi chi scrive ascolta la “voce” di Varenne, ndr - Oggi compio 20 anni che per un cavallo sono i sessanta di un uomo. Sono nato il 19 maggio del 1995 all’allevamento Zenzalino di Alessandro Viani, a Copparo (Ferrara) dalla mia povera mamma Ialmaz. Mio padre è Waikiki Beach che a 33 anni suonati vive ancora dalle parti di Bologna».Si racconta che quella notte di vent’anni fa fu “lunga e tempestosa” e che rischiasti tanto…«Mia madre era fuori tempo massimo per partorire e per di più il veterinario non c’era, perché si trovava a Rimini. Se non fosse stato per Alessandro Rondini, detto “Mango”, che al telefono eseguiva terrorizzato le istruzioni del dottore non sarei mai “uscito fuori”. Una gran fatica e un terribile spavento per tutti».Poi la grande gioia e un’infanzia felice in Francia, nel centro di allenamento di Jean Pierre Dubois.«Felice fino a un certo punto. Mi feci male a una zampa e per sei mesi non sono uscito dal box, mentre gli altri puledri scorrazzavano spensierati. Ma forse è stato anche quel dolore a rendermi più forte».Non avevi ancora tre anni quando hai debuttato a Bologna, e già si intuiva un futuro da trottatore straordinario.«Sono come il vino buono della tenuta di Bolgheri dove mi sono trasferito a due anni. Quel giorno a Bologna stavo vincendo, poi però all’ultima curva mi sono messo a galoppare e i giudici mi squalificarono. Comunque, l’avvocato Enzo Giordano che, dopo una trattativa grottesca mi comprò (per 180 milioni di vecchie lire, ndr) aveva visto lungo investendo su quello che, invece tanti, dopo l’esordio pensavano fosse soltanto un “brutto anatroccolo”».Ti trasformasti in un cigno già alla seconda corsa (1° posto a Roma) e alla decima hai conquistato il Derby Italiano, battendo Viking Kronos.«Di Viking Kronos il suo driver Lufti Kolgjini diceva che era “invincibile”: lo ribattezzarono il “Fenomeno”, come Ronaldo che in quel ’98 faceva magie all’Inter. Ma la mia squadra era la più forte. Mi allenava Jori Turja, un finlandese come la cara Iina Rastas, la mia ex tata che dormiva sempre sulla paglia, al mio fianco nel box, prima di ogni gara importante. E poi in pista mi guidava quel fuoriclasse di Giampaolo Minnucci. Assieme vincemmo il Derby e da lì in poi 18 corse di fila, mentre Viking Kronos si infortunò e smise di correre, poveretto…».Fine del Fenomeno e inizio dell’era del “Capitano”. «Quel nome me lo diedero due giornalisti, Marco Trentini e Domenico Deci. Dato che Viking Kronos era il Fenomeno nerazzurro, io per loro ero il Capitano del Milan, Franco Baresi. Così da quel momento anche Minnucci mi lanciava in pista al grido “Andiamo Capitano!”. Ha funzionato: tre edizioni consecutive del Lotteria di Agnano, il Breeders Crown di New York, l’Elitloppet di Stoccolma e per due volte il prestigiosissimo Prix d’Amerique di Parigi che, nel 2001, era da mezzo secolo che non lo vinceva un cavallo italiano».Infatti, quel 28 gennaio 2001, viene ricordato come la nostra presa della Bastiglia.«A Parigi erano arrivati 7mila italiani per assistere a quel mio primo trionfo e molti di loro facevano e fanno parte del fan club. Ma c’era sempre un fiume di gente quando correvo io. All’ippodromo di Mikkeli, un paese della Finlandia di 40mila abitanti, in 35mila vennero ad assistere al mio record del mondo. È stato così fino a Montreal, la mia ultima gara. Ho chiuso come avevo cominciato, con una squalifica. Ma va bene così, ho vinto tanto e guadagnato - e fatto guadagnare - di più. Anche 13 miliardi di vecchie lire in premi sono un record che nessun cavallo ha ancora superato».Dal 2002 il tuo nuovo mestiere è quello di stallone: quanti figli hai?«Con il mio seme - che viene pagato 12mila euro a monta - nascono un centinaio di puledri l’anno. Quindi ora che mi ci fai pensare avrò intorno ai 1500 figli sparsi per il mondo. Molti di loro vanno forte, specie le due “ragazze”, Lana del Rio e Lisa America sono quelle che mi hanno dato le più grandi soddisfazioni».Ma ora che non corri più non ti annoi un po’?«Niente affatto. C’è sempre qualche giornalista come te che mi viene ad intervistare e ogni tanto se mi invitano per una comparsata in tv non mi tiro indietro. Poi ci sono gli impegni da sbrigare con i fan e i “devoti”, quelli che sono convinti che io sia un santo o un amuleto, e arrivano a chiedere ciuffi del mio crine».Il tuo pubblico preferito però restano i bambini…«Beh i miei figli mi hanno fatto diventare nonno e io mi comporto da nonno anche con i bambini. Ce n’è una, Alice, che non è mai mancata ad ogni mio compleanno e siccome sta sulla sedia a rotelle quando viene qui mi abbasso così mi può accarezzare comodamente. Ah, vorrei rispondere a Chiara, una bambina che mi ha spedito una lettera - una delle tante che ricevo - in cui scrive: “Scommetto tre mele che hai molti amici cavalli”. Scommessa vinta. Ma ho sicuramente tanti amici tra gli esseri umani e perfino la benedizione di padre Danilo Reverberi».Benedetto tra i cavalli. E dai cantautori...«Sarò grato per sempre a Enzo Jannacci che ha scritto la canzone Varenne dedicandomi parole dolci come: “È arrivato dal cielo, proprio come una tempesta e lui non può rimontare, perché lui è sempre in testa… Quando corre lui vola come l’amore”».La famiglia De Matteo ha dato il tuo nome al loro terzogenito e all’ex Presidente Napolitano chiesero di farti cavaliere della Repubblica, poi come è andata a finire?«Che dal Quirinale mi hanno premiato con una targa d’argento per meriti sportivi. Certo a Incitatus, il cavallo dell’imperatore Caligola andò meglio, lo fece senatore. Ma va bene così, sono ancora tra i 5mila nomi di italiani più famosi nel mondo e per tutti sarò per sempre il vostro Capitano».
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