sabato 25 luglio 2015
Otto anni prima della «Magna Charta» inglese, in un paesino dell'™Appennino reggiano fu siglato uno Statuto scritto assieme da nobili e rappresentanti della comunità. 
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La piccola Costituzione che precede la Magna Charta Libertatum (1215) di Giovanni Senza Terra. Tutta la comunità di Vallisnera, un paese sull’Appennino Reggiano si sta preparando per la grande festa del 9 agosto. Quel giorno, come ogni anno, verrà rievocata la promulgazione, da parte dei signori della zona, dello Statuto avvenuta nel 1207. Ben 8 anni prima che i sovrani inglesi concedessero ai loro sudditi la Carta che da tutti viene considerata la prima costituzione scritta, la prima limitazione del potere assoluto dei re. Lo scenario è quello delle terre di Matilde di Canossa. La grande Signora che aveva difeso il papato contro l’impero ed era entrata nella storia per l’umiliazione di Enrico IV davanti al suo castello più famoso, era morta già da quasi un secolo (1115) ma lo spirito del suo governo, improntato a una grande attenzione verso i poveri e gli umili, ancora resisteva. E così il 4 maggio 1207 i signori di Vallisnera Nicolò e Zibello radunarono i rappresentanti delle diverse comunità che componevano le loro terre per discutere di un corpus di leggi che venissero condivise e rispettate da tutti. I Seniores (i signori) consegnarono una bozza che gli Homines potevano discutere e anche cambiare per arrivare a un testo condiviso.  «Per la prima volta - spiega la studiosa Clementina Santi impegnata nelle ricostruzione della storia della zona - il processo legislativo è condotto attraverso un percorso che potremmo definire democratico. Tutti sono sullo stesso piano e nulla viene imposto dall’alto. Anche se i Seniores sono i promotori, loro si rimettono alle riflessioni e alle deliberazioni degli Homines per arrivare a un testo il più possibile condiviso». Esemplare l’apertura di ogni articolo: «Statuimus et ordinamus » ('Stabiliamo e ordiniamo'), dicono coloro che hanno redatto la carta, senza distinzioni tra nobili e rappresentanti delle comunità. Uniti in uno sforzo comune che portasse ad un documento che fosse sentito come qualcosa di proprio. Gli articoli sono 80. Dal primo al cinquantunesimo si tratta di indicazioni che riguardano questioni che potremmo definire da codice civile. Si va dall’elezione al giuramento del podestà a quello dei consoli, dell’impiego dei corrieri, alle decime. Particolarmente interessante è l’articolo 24 che cercava di porre un freno a una piaga che già da allora doveva preoccupare e non poco e governanti. Recita testualmente: «Statuischano e ordinano ch’per bene de detti huomeni ch’niuno ardisca a giocare l’azaro». Un no al gioco d’azzardo che dovrebbe fare riflettere anche oggi con l’aggiunta di una serie di prescrizioni per combattere e punire chi imbrogliava. Lo Statuto cercava di regolamentare quanti più aspetti possibili della vita. Un esempio: chi avesse catturato o ucciso un lupo (allora molto numerosi su quelle montagne) sarebbe stato ricompensato con 20 soldi imperiali. Elenca anche i giorni da considerare feriali e festivi. Ma ci sono anche norme di procedura su come citare le persone davanti al giudice o del giuramento davanti allo stesso. Dal 52 in poi, le questioni riguardano invece l’aspetto penale.  La condanna a morte era comminata in caso di omicidio o violenza sulle donne ma in questo caso era possibile anche contrarre una sorta di matrimonio riparatore pagando un’ammenda di 50 libre imperiali. Impiccagione anche per «ogni ladro famoso» che doveva essere «appiccato per la golla per modo chel mora e l’anima si parte dal corpo». I ben del reo dovevano venire confiscati per rifondere «li patienti del danno per le sue roberie». Ma ammende erano previste per chi avesse sfoderato le armi di fronte ai signori senza il loro permesso, per chi aggrediva o per chi giurava il falso in giudizio. E qui la pena era dura. «Sarà condenato - scrivevano i legislatori di Vallisnera - a perdere la man dritta la quale puossi riscodere (riscattare ndr.) pagando libre cinquanta in termino 20 giorni. In perpetuo sia privato di potere adiurare in caso alcuno».  Lo Statuto superò la prova degli anni e anche dei secoli. Anche quando le terre del crinale appenninico passarono sotto l’influenza del Comune di Reggio Emilia. Il fatto avvenne abbastanza presto, nel 1237 quando i rappresentati di Vallisnera e di Cerreto Alpi giurarono fedeltà - fecero il loro sequimentum - alla nuova istituzione cittadino. Fra loro un giurista famoso Buonaccorso che, forte della sua abilità con i codici sarà tra gli estensori degli statuti (consuetudines) della stessa Reggio Emilia nel 1242. Questo giuramento sarà rievocato invece domani, domenica 26 luglio, proprio nel paese appenninico di Cerreto Alpi. L’idea viene da un nome noto ai lettori di Avvenire, Giovanni Lindo Ferretti. È stato lui a preparare la rappresentazione (che preferisce chiamare 'evocazione') dell’incontro tra i 15 nobili del Cerreto e i 26 di Vallisnera. «Questa non è un’occasione turistica o promozionale - spiega Ferretti - ma una festa per celebrare e onorare chi ha vissuto in montagna, chi ci vivrà e chi ci vive ora facendo anche figli». Una evocazione che ha il sapore della ripartenza. Sottolineando, continua Ferretti, che l’accordo del 1207 è stato un primo contratto sociale che deve essere continuamente rinnovato. «Ricordare l’accordo con Reggio - spiega ancora l’ex leader dei Cccp - vuol dire ricordare a tutti che in tempi molto difficili come erano quelli di allora e come sono quelli di oggi, c’è gente che abita la montagna e la mantiene viva. È un messaggio anche a tutte le autorità per dire che chi vive qui non è un costo ma una opportunità. Per tutti».

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