sabato 7 maggio 2016
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Suona abbastanza strano che il sottotitolo di un’opera lirica sia urban art dance opera. Capita al Maggio musicale fiorentino con Lo specchio magico di Fabio Vacchi. Mozart scriveva drammi buffi, Wagner drammi sacri. Vacchi, bolognese, classe 1949, ha scritto una urban art dance opera «dove la musica contemporanea si sporca le mani con la cultura hip hop, dove madrigali e rap convivono in armonia». Prima assoluta stasera al Teatro dell’Opera di Firenze per la partitura su libretto di Aldo Nove. Dirige John Axelrod. Regia di Edoardo Zucchetti. Sul palco specialisti dell’opera contemporanea come Alda Caiello, Mirko Guadagnini e Roberto Abbondanza dialogano con il rapper fiorentino Millelemmi. «La parte visiva – racconta il compositore – sarà affidata invece al writer Marco Tarascio, in arte Moby Dyck che all’esterno, nell’anfiteatro costruito sul tetto del teatro, realizzerà un murales: l’affresco di vernice spray, ripreso dalle telecamere, sarà proiettato sul palco e diventerà la scenografia dello spettacolo». Hip hop e musica colta si incontrano nella sua opera: vuole strizzare l’occhio ai ragazzi che oggi nell’iPod hanno Eminem e Fedez? «Nessuna operazione furba, nessun Puccini condito in salsa rock. Ma la consapevolezza che oggi la musica deve guardare al presente. D’altra parte da sempre si è occupata del proprio tempo, basti pensare ai messaggi politici presenti nelle opere di Mozart e Verdi. Oggi la musica, di fronte ai drammi del nostro presente, deve parlare di tolleranza e di convivenza, che sono poi i temi di sempre. E devo farlo anch’io perché un compositore autoreferenziale, lontano dal mondo, non ha senso. Dobbiamo essere immersi nel nostro tempo per raccontarlo e interpretarlo». E cosa racconta ne Lo specchio magico? «Il sipario si alza su un dialogo tra quattro antichi tiranni che vedono la guerra e la sopraffazione come la soluzione ad ogni problema del mondo. Un dialogo che viene però interrotto da un fanciullo che in uno specchio magico mostra il futuro dell’umanità per dire ai tiranni, ma anche a noi, che la guerra non è la soluzione. Dallo specchio prendono forma alcuni momenti cruciali per l’umanità dalla caduta dell’Impero romano alla bomba atomica su Hiroshima. Mentre l’ultimo quadro racconta la storia della leader birmana Aung San Suu Kyi: al soprano che vestirà i panni del Nobel per la Pace affido un’aria dove si auspica per il mondo la pace e la convivenza pacifica tra i popoli». Raccontata così sembra un’opera fortemente politica. «Certo, se per politica intendiamo l’impegno di ogni cittadino a comprendere il tempo in cui vive. Noi compositori siamo chiamati a farlo attraverso l’arte. Un’opera che assume un valore sociale e che vuole far riflettere il pubblico a ritmo di rap, con un cantastorie che ragiona su cosa il mondo ha biso- gno per non implodere in una spirale di odio e di violenza. Non invento assolutamente nulla di nuovo, porto avanti i temi urgenti di sempre e che sempre ci saranno». Come ha fatto a far convivere musica classica e hip hop? «L’immissione di elementi di culture diverse nella mia musica per me non è una novità: ho sempre cercato di trarre nuova linfa dalle culture con le quali sono venuto in contatto. Certo l’hip hop è una cultura diversa dalla mia, ma non mi spaventa. Mi ci sono confrontato senza però travestirmi da rapper. Ho invece fatto mio il senso del ritmo del rap: la voce che scandisce parole l’ho metabolizzata all’interno della mia scrittura. Tutto per arrivare a una forma articolata e mossa che invogli a un ascolto attento». Lo specchio magicoavrà una sola replica. L’Italia ha paura dell’opera contemporanea? «Per il nostro Paese l’opera contemporanea spesso è un dovere che un teatro è chiamato ad adempiere, diventa un pegno inevitabile per avere contributi statali secondo le richieste del ministero. Oggi occorrerebbe innovare profondamente le proposte culturali, ripensando i nostri teatri dalle fondamenta. Certo, qualche colpa ce l’hanno anche i miei colleghi delle avanguardie: la diffidenza nei confronti dell’opera contemporanea è un retaggio del passato perché per molti anni si è pensato che una musica che incontrava l’apprezzamento del pubblico non fosse buona perché troppo popolare. Oggi, fortunatamente, queste posizioni sono state superate, l’avanguardia spinta è finita e si cerca di scrivere per la gente. Lo dicono anche le neuroscienze che hanno indagato gli aspetti emozionali e cognitivi della partecipazione all’arte: se non c’è una componente affettiva non ci possono essere comprensione e percezione ». © RIPRODUZIONE RISERVATA Intervista Al Maggio fiorentino in scena “Lo specchio magico”, la “urban art dance opera” del compositore bolognese che lega la classica a madrigali e rap: «Un messaggio di pace» DEBUTTO. “Lo specchio magico” di Fabio Vacchi (nella foto sotto)
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