lunedì 10 giugno 2013
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Nemmeno due ore di auto e da un mondo ai margini, residuale «io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore, vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini…» di memoria pasoliniana, vengo incorporato nella rete ferroviaria, destinazione Roma. Nelle stazioni di provincia si evidenzia, con una forza che solo la quantità possiede, il mutare del panorama umano. Il mescolio di popoli e razze è debordato dagli schermi, è in marcia e dove non arrivano le rotaie bastano i pullman purché vi sia stazione: battigia in cui ogni onda umana si frange. Ciò che permane si ritrae, ciò che muta avanza travolgente; sedentari, migranti, nomadi, residenti si stanno ridistribuendo quote di popolazione congelate nella stabilità ed uniformità di un ciclo storico esaurito. Esistenze in balia di forze che le sovrastano, vincitori del poco in cerca di agio e fortuna, perdenti con voglia di riscatto, perseguitati a vario titolo con annessi persecutori di vario genere stanno ridisegnando nell’impotenza ma con gran forza d’urto una socialità che spostando merci e produzioni, servizi ed idee, malvagità e benevolenze ha spezzato equilibri e corroso ordinamenti. Ne risalta la difficoltà di controllo, l’incapacità di gestione. Fallite le ideologie del recente passato, vistosamente in crisi il comando di scienza e finanza, non più così ovvio e lineare il progressivo benessere di chi basta a sé resta il fatto, incontrovertibile, che questo è il nostro tempo, il nostro mondo. Se il primo colpo d’occhio si perde tra la varietà di razze e tipologie umane, comunque uno sguardo complesso che coglie molta bellezza, tanta problematicità ed un generico degrado, il secondo sta tra il perplesso ed il desolato. La quasi totalità degli umani manipola una protesi connettiva che dispensa barlumi di vitalità. Ci incrociamo, ci sfioriamo, attendiamo vicini ma siamo una esigua minoranza ad essere qui, ora. Chi è in ufficio, chi in casa, qualcuno sta abbordando, molti sono ad un concerto o intenti ad attività ricreative. Relazioni da connessione in gamma ben variegata d’atteggiamenti, c’è chi recita godendo in solitaria della propria esibizione ed io, per un attimo giuro, vedo i corpi come protesi inanimate e la vita prorompe dalle macchinette. Mi riprendo, m’accendo una sigaretta ed aspiro con voluttà: vizioso ma carnale.Scendendo verso Roma sempre un po’ d’agitazione; sono i secoli, i millenni sedimentati nella carne e nello spirito. Attrazione e repulsione, astio e riconoscenza, c’è posto per tutto. E’ l’Urbe. Enea con Anchise sulle spalle e per mano Ascanio, la Lupa e i gemelli, i dieci Re e i sette colli, la Repubblica e l’Impero, la decadenza, la cattedra di Pietro, il soglio pontificio, il Rinascimento, la Controriforma, la nazione e il solco fascista, la Cinecittà aperta, l’oggi con smanie da metropoli e come risultato la provincia delle province. Burocrazia e turismo, consorterie, farragine, la Rai e il Parlamento; tanto di suburra, tanto di sfarzo esibito, ben celato e schivo ciò che conta. Spiace persino dirlo a miscredenti e detrattori ma la vera ricchezza, inalienabile, di Roma è il suo vescovo. Oggi è un giorno particolare, molto speciale; cielo nitido sole caldo con ponentino rigenerante, tutto risplende per la celesta platea che s’affolla, s’affaccia dall’alto a tanta grazia: mai si son visti due Papi in vita, insieme. Rientra Benedetto decimosesto da Castel Gandolfo, emerito! regnante? Francesco. Mancano parole appropriate, buon segno: la realtà obbliga il pensiero. Benedetto claustrale, Francesco residente in Santa Marta, disabitati i sacri appartamenti, un set fotografico per gravosa e doverosa rappresentanza. Il bello della Chiesa cattolica, la sua forza contenuta o dirompente è il Santo Padre, immagine di Cristo sulla Terra, e bisogna riconoscere che i signori cardinali, nel tempo di mia vita posso testimoniarlo, lavorano molto bene nell’obbligo del conclave. Per il Santo Padre, con il Santo Padre, bisogna pregare, al Santo Padre bisogna ubbidire tutto il resto è diceria clericale o idolatrica nell’alternarsi delle mode. Al gesto di rimando di Benedetto consegue Francesco: un sorriso di periferia, un inchino ortodosso, un Pater Ave Gloria e poi un torrente impetuoso di parole e gesti. Era ieri: la Chiesa sotto assedio, timorosa nel suo bisecolare ritardo, collezionista di strutture d’aggiornamento; tristi curatori d’antichità e volenterosi acquirenti di novità. Un po’ splendido museo, un po’ ong umanitaria, un po’ rappresentanza Onu, eppure il Santo Padre Benedetto garantiva che la Chiesa è viva, malgrado le proprie colpe ed anche i meriti, e ne ringraziava Dio; offriva la sua sapienza, la sua dolcezza all’alto magistero, inascoltato, deriso. Con il gesto più umile e più potente di leggera brezza ha fatto vento prorompente. Dalle periferie del mondo lo strazio e la consolazione. Le lodi s’arricchiscono di nuove cadenze. L’esangue cede alla passione: nei bassifondi, tra i derelitti, è il tango; nei piani alti? Nessun problema è stato risolto anzi, aumentano ogni giorno, ma sono i giorni di nostra vita: buongiorno! Buon pranzo! Buona sera! Grazie Santo Padre. Non mi si dica che non succede niente.A Roma bisogna essere molto distratti o troppo pieni di sé per non ritrovarsi sia confermati sia sorpresi anche solo da breve soggiorno, di passaggio. In basso, attorno il Colosseo, la calca dei turisti; immane calpestio e tanfo deodorante, ogni lingua parlata sulla terra cozza col romanesco di figuranti legionari e centurioni in posa a pagamento. Poche centinaia di passi ed in alto su lieve colle tutto è silenzio, cinguettii e stormir di fronde. Un varco spalancato sul tempo. Un portale dello Spirito, reale, camminabile e bisognerebbe prostrarsi. Nella basilica risuonano cristalline voci femminili nelle lodi delle ore canoniche. Nel caos urbano si vive al cospetto di Dio, a beneficio dell’umanità, come nel più inaccessibile romitaggio montano; testimonianza vivente che attraversa ogni contingenza storica. Ad ogni mio ritorno il timore che qualche ufficio pubblico o canonico decida di porre rimedio al fluire di tanta grazia promuovendo un piano di recupero teso alla valorizzazione e promozione. In questo mi consola la crisi economica, confido sulla mancanza di fondi, divina povertà, mi rassicura la fede nella Provvidenza. Stavolta la sorpresa arriva dal barocco, poco compreso ancor meno indagato e mai amato. Orgoglioso nel coltivare una estetica barbarica, vitale e sanguigna anche nella fede, mai avrei immaginato che l’architettura del Borromini potesse celare tanta passione. Sono sempre passato davanti Chiesa Nuova pensandola senz’anima, fredda e scenografica, sfarzosa ed inadatta alla preghiera, l’esatto opposto di una pieve romanica. Nulla sapevo del cuore che vi alberga, di san Filippo Neri e del suo Oratorio di Santa Maria in Vallicella. La sorpresa si materializza in un incontro. Ci sono persone che custodiscono, tramandano, vivificano tesori e grazie, vero patrimonio immateriale dell’umanità di cui il patrimonio materiale è diretta conseguenza; un narrare per opere e manufatti di cui Roma è approdo e Gerusalemme origine. Arriva Ivan, un sorriso, un gesto ad indicare un particolare, un aneddoto ed è evidente che romanico e barocco sono due versetti dello stesso salmo che gli uomini, nella loro finitezza e temporalità, continuano ad intonare a lode della Creazione, del Creatore, della Incarnazione. Padre Maurizio mi fa partecipe con un abbraccio della compassione, della misericordia che l’hanno travolto e di cui ogni santo giorno rende merito, inchiodato nel suo confessionale, perché a nessuna colpa, a nessun dolore sia negata la speranza e ad ognuno sia concesso di aprirsi al perdono, alla grazia. Me ne torno a casa con un libricino devozionale, un dono, vita e opere di san Filippo Neri, l’apostolo di Roma. Me ne torno a casa ricco perché povero è quell’uomo che non ha nessuno per la cui semplice esistenza ringraziare. Muta il vivere dell’uomo in uno spazio di cui fruisce, gli è stato donato non gli appartiene, in giorni che gli sono concessi, un tempo bastante. Che l’uomo, ogni singolo uomo in ogni situazione, operi il bene o pratichi il male è l’unica variabile che fa differenza.
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