sabato 24 maggio 2014
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Non ha una laurea in ciclismo, ma questa potrebbe arrivargli presto, magari il prossimo primo giugno a Trieste, se sarà capace di arrivarci in maglia rosa. Non ha la laurea, ma il diploma si. Rigoberto Uran l’aveva giurato a sua papà, il quale gli aveva detto: «Ti faccio correre solo se completerai gli studi».Rigoberto Uran sulle strade del Barbaresco e del Barolo - giovedì - ha superato alla grande il suo primo esame. Vittoria con tanto di maglia rosa. Ma non è una sorpresa. Il ragazzo, nato gregario, un anno fa arrivò secondo alle spalle di Vincenzo Nibali, e una delle più forti formazioni del mondo, la belga Omega-Pharma, ha deciso di ingaggiarlo per puntare finalmente ai Grandi Giri.La prima bici di “Rigo” era una carcassa pesantissima di color rosso e divisa in tre parti. Suo papà la fece saldare perché voleva portalo con sé nei fine settimana sulle strade di Urrau, la loro città natale. Famiglia umile, ma molto appassionata di ciclismo, sport che in Colombia ha una popolarità pari al calcio in Italia. Un giorno il papà lo sorprese mentre vendeva bottiglie vuote per racimolare qualche soldo da spendere al mercato e comprarsi una bicicletta nuova. Il padre lo prese e gli fece una proposta: «Ti insegno i segreti del mestiere, vendere biglietti della lotteria per la strada è un modo più sicuro e remunerativo per tirare su soldi, ma tu mi prometti che in cambio completi gli studi». Rigoberto accetta e arriverà al diploma. Fin qui la storia della fresca maglia rosa è solo a tinte rosa. Vita difficile ma non impossibile. Vita dura ma non agra. Fino all’anno 2001: per il giovane Rigo è davvero “l’annus horribilis”. Era il 20 agosto quando papà Don Rigoberto de Jesus Uran uscì in bici con un amico, il figlio restò a casa perché doveva studiare. Papà uscì e non tornò più. Rigoberto cominciò a cercarlo disperatamente per giorni e giorni in tutta la zona. Giorno e notte. E solo dopo qualche giorno scoprì la verità: il padre era stato fermato ad un posto di blocco delle forze paramilitari e costretto a seguirli in montagna per rubare bestiame: lui si rifiutò e per questo venne ucciso.È superfluo dire che questo tragico episodio segnò profondamente la vita di Rigoberto, che da quel giorno si è dovuto anche occupare di mamma Aracelly che cadde in una depressione senza fine. «È in quel momento che decisi di vegliare su di lei e su mia sorella Martha: con la bicicletta avrei riscattato una vita per noi troppo sfortunata». Rigoberto scopre il ciclismo. La prima corsa in un parco di Urrao: si iscrive e vince. Lo nota Josè Laverde, un tecnico che lo porta in una delle migliori squadre colombiane. Studio al mattino, vendita di biglietti della lotteria al pomeriggio e allenamento la sera. Risultati sempre più importanti, quelli di Rigoberto, al punto che a 19 anni sbarca in Europa, firmando il primo contratto da professionista per la Tenax di Fabio Bordonali.Inizialmente decide di vivere a Pamplona, in Spagna, ma alla Tre Giorni di La Panne si rompe una clavicola e Bordonali pensa bene di tenerselo vicino, per curarlo ma anche per insegnargli il mestiere. È così che Rigoberto Uran approda a Brescia. È qui che conosce Mario Balotelli, e come il bomber della Nazionale e del Milan, in pratica viene adottato da una coppia senza figli, Beppe Chiodi e Melania Chiarutti, che decide di aiutare questo ragazzo colombiano che sa scalare le montagne. Il ragazzo cresce, ma anche in bicicletta raccoglie le sue belle delusioni e sofferenze. Nel 2009, al Giro di Germania, si frattura una spalla. La sua è una costante rincorsa verso qualcosa di oscuro. Lui ne parla sempre poco, solo apparentemente sembra vinto, ma dentro di se cova la brace del riscatto. «Ho sempre creduto nei miei mezzi e non mi sono mai tirato indietro di fronte a niente. Quello che ho passato mi ha insegnato a lottare. A guardare avanti, anche nei momenti più difficili. Quando tutto sembra perduto io mi ripeto sempre una cosa: “Sei vivo? Bene, fatti valere”». Lui si fa valere, ma soprattutto si fa vedere. Così, dopo aver militato in un paio di piccoli team passa prima a una grande squadra spagnola (Caisse d’Epargne), poi ad uno dei colossi mondiale del ciclismo: il Team Sky di Wiggins e Froome. Per lui è la svolta. Qui fa un altro passo in avanti verso la maturazione: cresce sotto l’aspetto tecnico e impara ad alimentarsi. Fino a quel momento era un tipo un po’ naif. Argento alle Olimpiadi di Londra 2012, secondo dietro Nibali al Giro 2013, a fine stagione l’offerta della Omega Pharma Quick Step e la Sky che non fa nulla per trattenerlo, scegliendo di puntare sul connazionale Sergio Henao...«Io non porto rancore a nessuno, perché sulla mia strada ho trovato tante persone che mi hanno voluto bene. La vita è davvero una gara a tappe: oggi vinci, domani perdi. L’importante è rimanere sempre lì, nel vivo della competizione», dice. Alla Sky, un anno fa, lavora per dieci giorni per il suo capitano Bradley Wiggins, fin quando il baronetto non si ritira e il team gli dà il via libera. Quest’anno, invece, per la prima volta in carriera arriva ad un Grande Giro con una squadra totalmente a disposizione e una condizione al top.«Se sono felice? Molto, perché vedo attorno a me gioia. Ma la corsa è ancora lunga, voglio arrivare a Trieste in maglia rosa e vorrei regalare al mio Paese e alla mia famiglia questa gioia». A chi gli chiede cosa pensa del fatto che il suo vero rivale potrebbe essere Nairo Quintana, un altro colombiano, lui serafico risponde: «Sarebbe bello, perché nelle sconfitta so che almeno la Colombia avrebbe un buon motivo per gioire. Io spero che ne abbia due».
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