giovedì 15 ottobre 2009
Da oggi in Italia il nuovo film della Pixar-Disney. L’autore Pete Docter: «La tecnologia da sola non vale nulla. Questa storia piacerà perché tocca i sentimenti più veri».
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Se c’è qualcosa di veramente nuovo e magico che esce da quella straordinaria macchina dei sogni chiamata cinema, allora questi sono i cartoon della Pixar-Disney. Come l’ultimo vorticoso Up, da oggi nei cinema italiani dopo l’epocale apertura a Cannes. Un lampo di luce colorata che squarcia la sala buia: l’animazione non è più la stessa da quando quattordici anni fa Woody e Buzz, uno sceriffo e un astronauta, sono stati catapultati negli occhi delle platee di tutto il mondo da un paffutello giocattolaio di nome John Lasseter, Mr. Pixar in persona, ultimo Leone d’oro alla carriera, colui che come regista, produttore e direttore creativo da Toy Story in poi ha risollevato le sorti della Disney, ultimamente troppo impigrita sul fronte della tv e del merchandising. Da Monsters & co. a Cars, dal pesciolino Nemo al topolino gourmet Ratatouille, fino al commovente robot ecologista Wall-E: la factory di Lasseter e soci ha scritto con matita, colori e qualche effetto digitale la storia dell’animazione da qui al futuro. Una giostra di personaggi fantastici scolpiti nell’immaginario come incisioni rupestri dei nostri tempi. Ora l’anima dei sogni ha un altro indimenticabile volto: è quello occhialuto di Carl Fredricksen, un po’ Walter Matthau un po’ Spencer Tracy – secondo l’ispirazione dei suoi creatori –, protagonista assoluto di Up, il burbero vecchietto che dopo la morte della moglie Ellie si trascina lento tra i rimpianti di una vita di sacrifici.Assediato dalle bollette e dalle iene edilizie che vogliono buttare giù la sua casa a Manhattan, Carl ha un sussulto estremo di vitalità. Prende le sue quattro mura e trasportato da centinaia di palloncini vola via. Destinazione: Cascate del Paradiso, un angolo mozzafiato del Sudamerica che più volte con la moglie avrebbero voluto visitare. E qui, complici un boy scout e due strambi animali, comincerà un’avventura alla scoperta di una nuova felicità. Cinque anni di lavorazione per una fiaba che sembra parlare con il vocabolario dell’America obamiana in cerca di una fuga dalla crisi (l’attaccamento di Carl alla casa fa pensare subito allo sfacelo dei mutui). «L’immagine di una villetta sorretta da dei palloncini riesce a cogliere quello che stavamo cercando di esprimere sulla fuga dal mondo. In breve tempo, abbiamo capito che il mondo dipende dai rapporti umani ed è quello che scoprirà anche Carl». Parola di Pete Docter, uscito dal laboratorio di Lasseter già come autore di Monsters & co. È lui il regista che ha confezionato il decimo gioiello Pixar, ma soprattutto il primo girato dalla compagnia di San Francisco in 3D, con una profondità dell’immagine e del racconto mai vista prima.Una risposta in tempo reale alle rivisitazioni tridimensionali degli avversari della Dreamworks (con Mostri contro alieni) e all’ultimo episodio della saga L’era glaciale. Una sfida tutta giocata sui nuovi occhialetti e tra moderne tecnologie, che la Pixar ha dimostrato di vincere sul piano dell’originalità e dello spessore delle storie. «Noi vediamo il 3D come un’altra matita nel nostro astuccio», sostiene Docter, che guarda indietro, ai grandi classici Disney. Al centro c’è sempre l’idea, una bella storia che vale più di mille tecnologie: «Per far sì che un film ti coinvolga fino a questo punto, deve avere delle emozioni reali e collegarsi in qualche modo con la tua vita». Umorismo e cuore, anche secondo Lasseter: è la lezione che ha lasciato a tutti loro il maestro Walt Disney che amava dire: «Per ogni risata, ci deve essere una lacrima». Una perfetta alchimia che conquista senza limiti di età.
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