lunedì 14 luglio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Come li vogliamo, i giovani? Irregimentati dal potere e obbedienti, massa compatta manipolabile, quindi rassicuranti ma incapaci di slancio, novità, fantasia, intraprendenza? Oppure "religiosamente corretti", anzi correttissimi, ben catechizzati, dotati di una formazione religiosa impeccabile, ma soltanto di quella, e quindi incapaci di pensiero critico, di assumersi le proprie responsabilità nel mondo, perciò sostanzialmente non liberi?Mentre la seconda guerra mondiale consuma gli ultimi atroci spasimi, con i giovani europei a farne per primi le spese, gettati nella mattanza da adulti allucinati, un ventenne empolese medita. Sta lavorando duramente nel nord della Germania per la Luftwaffe. Arruolato senza alcun entusiasmo nella Regia Aviazione, possiamo immaginare con quale spirito lavori per i tedeschi, dopo l’8 settembre 1943. Ma lavora. E medita, il giovane Pino Arpioni. Che proprio in quelle ore costruisce il suo futuro.È un educatore nato. I coetanei sono una passione ma il suo non è un entusiasmo esile. Lo sorregge una volontà ferrea, l’arte di organizzare e soprattutto di scrutare dentro i cuori. In profondità. E nello stesso tempo di sapersi guardare attorno: ha nel cuore la Chiesa ma anche il suo Paese, la sua gente; e pensa all’Italia del futuro. Ributtanti i «metodi educativi» del regime fascista; ma insufficienti anche quelli della Chiesa. Spiega Claudio Turrini: «Voleva una formazione integrale, che spaziasse dalla religione allo sport alla cultura, per formare uomini e cristiani veri, capaci di scegliere in piena libertà, con i più grandi che aiutano i più giovani a loro volta. La chiave? La vita insieme, che fa superare gli egoismi e crescere nell’amore».Turrini, fra i più vicini dei ventimila ragazzi che dal 1952 sono stati coinvolti dall’educatore empolese, giornalista di Toscana Oggi, a dieci anni dalla morte gli dedica il libro Pino Arpioni e la Vela. Sessant’anni di campi-scuola(Edizioni Cooperativa Firenze 2000, pp. 216, euro 25). Un lavoro certosino, realizzato passando al setaccio l’archivio dell’«Opera per la gioventù Giorgio La Pira» e attingendo a piene mani al ricchissimo repertorio fotografico. Un libro da leggere e da guardare, all’inseguimento dei sogni e del duro lavoro di un educatore tutto d’un pezzo, che in quelle pesanti ore in Germania promette a se stesso, se fosse tornato vivo in Italia, di dedicarsi anima e corpo ai giovani, in una vocazione – lui che rimase sempre laico – per certi versi più esigente di quella presbiterale.La chiave? Arpioni inventa i campi-scuola. Non sarà forse stato il primo. Ma nella sua formula moderna sì, con la novità di portare i ragazzi anche al mare, luogo allora (e non solo allora...) ritenuto inadatto per le attività formative dei giovani cattolici. «Ma l’importante – spiega Turrini – era che fossero posti belli, perché la bellezza aiuta nell’educazione dei giovani». Perché il campo-scuola? Per vivere insieme, per poter fare esperienze forti, per conoscersi e aiutarsi condividendo ogni momento della giornata.Si comincia in tenda sull’Appennino pistoiese, dove nel 1954 è inaugurato il «Villaggio Il Cimone» a Pian degli Ontani. Poi all’Elba a Cavo. Arpioni in quegli anni è nella Giac, la Gioventù maschile di Azione cattolica; e diventa presidente diocesano dell’Ac di Firenze, e ancora delegato regionale. Si cerca un terreno adatto a una struttura fissa, che viene offerta dall’Ente Maremma a Castiglione della Pescaia. Qui nasce La Vela.Il metodo è quello che Arpioni aveva in mente già durante la prigionia in Germania: accanto a una formazione religiosa, fornirne anche una civile e sociale. I ragazzi imparano il vocabolario della democrazia non solo teoricamente, ma eleggendo un sindaco e gli assessori. Il terremoto che a metà degli anni Cinquanta priva la Giac dei suoi vertici, da Carretto a Rossi, induce Arpioni – che pure sarà iscritto all’Ac fino alla morte – a creare un’associazione, l’Opera per i villaggi per la gioventù, nella cui sede dal 1970 andrà ad abitare Giorgio La Pira e che, dal 1977, prenderà appunto il nome del sindaco.L’amicizia profonda – perché questo fu – tra Arpioni e La Pira è un altro grande capitolo. L’educatore sarà "tirato" in politica più volte. La Pira gli affiderà i cantieri di lavoro nella Firenze che si stava risollevando dai danni della guerra, disoccupazione compresa; sarà assessore comunale. Farà tutto bene, in spirito di servizio. Ma la sua vera, prima vocazione è quella educativa. La sintonia con la Pira fu però straordinaria, a partire dalla passione per il dialogo alle frontiere, là dove soltanto pochi pionieri osavano avventurarsi. Alla Vela in estate e a Firenze arrivavano ortodossi russi e greci, anglicani, ebrei e palestinesi (cristiani e musulmani). L’ecumenismo e il dialogo interreligioso erano cosa normale. Arpioni era l’Opera ma, da leader autentico, non legava tutto a sé. La dimostrazione delle sue straordinarie capacità è che l’Opera è proseguita dopo di lui, ancor oggi dai campi-scuola passano quasi mille ragazzi ogni anno e altri 200 si formano per fare i capigruppo.Pino Arpioni va annoverato tra i campioni del laicato cattolico del Novecento proprio anche per aver costruito senza mettersi al centro, senza mai cedere alla tentazione di celebrare se stesso, protagonista vero perché non affetto da protagonismo. Tra i giovani passati dalla Vela alcuni sono diventati famosi. Li troviamo nel libro di Claudio Turrini. Nominarli qui, adesso, finirebbe per mettere loro in luce, e in ombra le migliaia di educatori che hanno dedicato ore, giorni, settimane ai loro coetanei. Loro, i veri protagonisti. Loro, che davvero avevano capito il messaggio di Pino Arpioni: formare uomini e cristiani autentici, che nella comunità ecclesiale e nella società civile sappiano compiere scelte libere. Ce n’era bisogno allora. Ce n’è forse ancor più bisogno adesso.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: