giovedì 29 ottobre 2009
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L’Anno internazionale dell’Astronomia sta avviandosi ormai alla conclusione (la cerimonia finale è prevista a Padova il 9 e 10 gennaio 2010), ma le iniziative non cessano, anzi sembrano aumentare sia in quantità che in qualità. Tra i moltissimi eventi ricordiamo la recente inaugurazione della mostra di strumenti e documenti astronomici storici "Astrum", presso i Musei Vaticani, e il convegno organizzato domani dalla Specola vaticana. L’interesse del pubblico per l’astronomia è andato crescendo durante l’anno, decretando il pieno successo dell’iniziativa. In fondo un esito quasi scontato: da sempre il cielo e i suoi fenomeni affascinano l’uomo e la curiosità si ravviva ogniqualvolta strumenti sempre più sofisticati svelano nuovi inaspettati scenari. Un risultato forse meno prevedibile è stato il risveglio dell’interesse per l’astronomia non solo come disciplina scientifica, ma anche come finestra privilegiata verso la trascendenza: uno sguardo ammirato alla maestosità del cielo stellato che ci affascina, ma al tempo stesso ci impone di considerare la nostra condizione di uomini di fronte all’immensità del cosmo. Questa valenza dell’astronomia ha ravvivato il dialogo tra ricerca scientifica e ricerca teologica ed esegetica, consolidando importanti traguardi e contribuendo a cancellare antiche incomprensioni e apparenti conflitti. Uno dei motivi del successo del dialogo va ricercato nel concetto di spazio-tempo, inaugurato da Einstein un secolo fa ma più facilmente percepibile oggi, grazie alle osservazioni astronomiche e al modello cosmologico evolutivo dell’universo. Spazio e tempo, per la fisica, non sono più entità assolute, entro le quali i fenomeni avvengono, ma sono essi stessi parte integrale dell’evoluzione globale del cosmo. L’intuizione di sant’Agostino sul tempo è oggi affermata indipendentemente dalla fisica moderna. È quindi possibile immaginare razionalmente una realtà che sia al di là dello spazio-tempo, trascendente appunto. In questo rinnovato scenario scientifico diventa naturale considerare l’atto creativo non più come un evento che "avviene" nello spazio e nel tempo, ma come un concetto a-temporale, che tutto abbraccia: come dice Joseph Ratzinger, «l’antropogenesi non si può dissotterrare con la vanga». La creazione non si può dimostrare, in senso scientifico, ma solo accettare liberamente, con un atto di fede che comunque non contraddice la scienza. Su questa base si dissolvono naturalmente gli antichi conflitti tra evoluzione e creazione, in particolare con l’espressione simbolica di quest’ultima offertaci dalla Genesi e dal Prologo del Vangelo di Giovanni: la ricerca scientifica sull’evoluzione del cosmo, delle specie viventi e dell’uomo può proseguire indisturbata, aggiungendo nuove scoperte e modificando i propri modelli senza per questo intaccare le verità espresse dai simboli sapienziali. Naturalmente le nuove scoperte scientifiche stimolano e richiedono una continua re-interpretazione dei simboli, e questo apporto costruttivo della scienza fa sì che gli stessi simboli non si cristallizzino in credenze superstiziose, ma mantengano costantemente, in ogni epoca storica, la loro forza salvifica. Dopo la creazione, in prospettiva, la scienza moderna offre l’opportunità di una nuova esegesi del peccato originale e dell’Albero della vita. Simboli tremendamente attuali che, liberati dalla costrizione spazio-temporale del racconto, potrebbero riacquistare ai nostri occhi il valore che avevano per gli antichi. La posizione di aperto dialogo con la scienza è stata più volte espressa durante quest’Anno da eminenti esponenti della Chiesa e quindi, per il dialogo scienza-fede, tutto sembrerebbe procedere per il meglio. Si tratta però, per molti, di un cambiamento radicale e come tale potrebbe presentare delle difficoltà ad essere universalmente accettato. Non mi riferisco agli "storici" oppositori della religione, per i quali sarebbe molto più facile continuare ad attaccare una Chiesa che loro vogliono credere oscurantista e nemica della scienza: la nuova dialettica farà emergere inesorabilmente il loro fondamentalismo ideologico. Penso piuttosto alla popolazione di credenti per i quali può non essere facile abbandonare concetti (o preconcetti!) familiari. Bisognerà impegnarsi, con pazienza e determinazione, in una sorta di "pastorale della scienza", che convinca tutti che la ricerca della verità, se condotta con umiltà e cuore puro, non può entrare in conflitto con se stessa, qualunque sia la via intrapresa. È un compito non facile che deve coinvolgere scienziati di buona volontà e catechisti illuminati, ma che va rapidamente messo in moto perché i germogli nati dalla buona semente sparsa in quest’anno non inaridiscano prima di mettere radici.
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