venerdì 27 giugno 2014
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Sono marito e moglie da 40 anni, fedeli e innamorati come il primo giorno. Caso raro nel mondo dello spettacolo. L’autore e regista Giorgio Ferrara e l’attrice Adriana Asti, da stasera fino al 6 luglio faranno coppia fissa anche sul palcoscenico, al Caio Melisso di Spoleto, nella pièce di apertura della ricca sezione di teatro del 57° Festival dei Due Mondi, di cui Ferrara è direttore artistico. Cosa curiosa, però, perché il regista Luca Ronconi ha chiamato la coppia a interpretare Danza macabra di August Strindberg, il dramma scritto nel 1900 che racconta il gioco al massacro di due coniugi. I quali, come vampiri, succhiano l’uno dall’altro la linfa vitale del matrimonio per distruggersi a vicenda, con una ferocia domestica (tragicamente attuale) fatta di inganni, soprusi reciproci e parole che tagliano come lame. Due personaggi proprio all’opposto di come sono Ferrara e la Asti nella vita. Perché, allora, questa scelta? «Ronconi, grazie all’adattamento del testo di Roberto Alonge, ha trasformato il dramma dell’autore svedese in una commedia, quasi una farsa, pur non stravolgendone il senso» dice Ferrara. C’era bisogno dunque di pennellate di ironia? «Certo, va tenuto presente però – replica Ferrara – che noi non dobbiamo affrontare i personaggi di Strindberg, ma seguire solo le idee di Ronconi che ha tolto, nella sua scelta, ogni riferimento al nostro rapporto. Io e Adriana non assomigliamo affatto a loro e poi nella versione ronconiana i due vivono un’esistenza normale e quando arriva in casa il cugino Kurt (Giovanni Crippa, ndr) si trasformano in attori che recitano una parte, diventano due iene... È una pochade. Ronconi ha lavorato su intenzioni, parole e caratteri ispirandosi al vaudeville di Courteline Les Boulingrin, andato in scena nel 1898. Edgar e Alice, qui, sono dei personaggi eterni, dei "non morti" che solo quando rimangono soli diventano normali». È come se avessero bisogno di azzannarsi per sopravvivere come coppia... E invece su cosa si fonda il vostro rapporto d’amore così duraturo? «Ho avuto la fortuna di trovare una moglie intelligente, fedele e sempre di buon umore. Adriana è una che tiene lontana la noia. Il segreto della nostra storia? Mai occupare gli spazi dell’altro, rimanere autonomi, condividere le esperienze dell’altro ma mantenere sempre la giusta distanza». «Le qualità di mio marito? Mi sopporta, mi apprezza, mi conforta – dice Adriana Asti – e per il resto sono d’accordo con quello che ha detto, l’autonomia è necessaria, ma anche un po’ di tenerezza...». Non è la prima volta che i due sono insieme sul palcoscenico: li ricordiamo nel 2001 protagonisti della fumettistica e plateale riproposizione de Le sedie di Eugène Ionesco realizzata da Tullio Pericoli. Il marito invece ha diretto la moglie nel film "flaubertiano" Un cuore semplice nel 1977. La Asti è una delle migliori interpreti sulla piazza europea, ha un modo di recitare delicato e incisivo e una propensione ai personaggi complessi. Ha lavorato molto con Luchino Visconti che nel 1960 la chiamò anche sul set di Rocco e i suoi fratelli: «Visconti era un genio affascinante, misterioso e tirannico di cui tutti volevano essere preda» ricorda l’attrice. «Prediligo il teatro ma il mio vero debutto nello spettacolo – dice – è stato da piccolissima nell’orchestra del collegio di suore tedesche che frequentavo a Milano, suonavo il triangolo». Giorgio Ferrara, invece, è innanzitutto un autore, un regista cinematografico, lirico e teatrale, un manager dello spettacolo. «Io in scena? Credo che un organizzatore di cultura debba coinvolgersi direttamente sul palcoscenico, abbia la necessità di calarsi nei ruoli per i quali di solito sceglie e decide per altri». «Lui dice che recita con me solo se fa mio marito o il mio amante – commenta la moglie –, ma è una civetteria. Però non ha l’ansia del professionista e questo aiuta tutti». Il teatro può risollevare l’Italia dalla crisi? «Ne ha bisogno, da noi è vivo, è seguito – risponde il direttore della rassegna spoletina – perché è l’arte che più rappresenta la condizione umana e sociale dell’uomo, fa riflettere e partecipare». «Sì, ma più che altro è una trappola nella quale si cade – precisa la Asti – e non se ne può fare a meno: il cinema non è un sacrificio umano, è saltuario; il teatro invece è una forma di esistenza ineliminabile in cui il rapporto con il pubblico è un affetto diretto essenziale». Come quello tra marito e moglie.
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