domenica 1 luglio 2012
​Si chiama Fëdor Konjuchov ed è un sacerdote ortodosso. Ma è anche il più grande esploratore russo vivente. Ha raggiunto i due Poli e scalato le sette cime più alte del mondo. Portando un’icona sulla massima vetta, il 19 maggio scorso Ingegnere navale, poeta e pittore, ha l’aspetto di uno «starec» e una certa somiglianza con Messner.
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Il penultimo fine settimana di maggio doveva essere un sogno per decine di scalatori pronti a dare l’assalto all’Everest. Si è trasformato nell’ennesimo incubo. Nell’arco di tre giorni in sei hanno perso la vita. Traditi dall’affollamento surreale creatosi nei passaggi chiave per scendere dal picco del mondo, dai venti fortissimi e dall’esaurimento delle forze fisiche. Dall’impresa è uscito però indenne – ancora una volta è il caso di dire – il russo Fëdor Konjuchov – che il 19 maggio, alle 6:20 ora locale, si è fatto fotografare a 8848 metri di altezza con in mano un’icona di san Nicola, la sua principale protezione. Konjuchov, 61 anni, è un sacerdote ortodosso. Ed è il più grande esploratore russo vivente, oltre a essere considerato uno dei più eclettici a livello mondiale. Ha alle spalle una quarantina di imprese e una serie di record che parlano da sé. Ha attraversato l’Oceano Atlantico su una barca a remi in 46 giorni e la Groenlandia, per 800 chilometri, coi cani da slitta in 15 giorni e 22 ore. È stato il primo a raggiungere i cosiddetti cinque poli estremi del pianeta: il Polo Nord – tre volte –, il Polo Sud, il Polo Nord dell’inaccessibilità – ossia il punto del Mare Glaciale Artico più lontano dalle terre emerse –, l’Everest e Capo Horn. Nel 2008 è stato il più veloce a circumnavigare in solitaria l’Antartide, in 102 giorni. Ha fatto quattro volte il giro del mondo in barca a vela, tre volte da solo. È stato anche il primo russo a completare il programma delle 'sette cime', scalando tra il 1992 e il 1997 le montagne più alte in America del Sud, del Nord, Europa, Africa, Asia, Oceania e Antartide. E al di là dei record, nel suo palmarès c’è un po’ di tutto, da una 'biciclettata' compiuta da Nachodka – al confine tra Cina e Corea – a Leningrado, nel 1989, a un tour in macchina, due anni dopo, sempre da Nachodka a Brest, sul confine tra Bielorussia e Polonia. Alla ripetizione del viaggio, con cavalli e cammelli, con cui gli antichi Calmucchi lasciarono l’originaria Mongolia per stabilirsi in territorio russo. Ingegnere navale, organista, poeta e pittore – nel 1983 è stato ammesso nell’Unione degli artisti dell’allora Unione Sovietica – Konjuchov, una vaga somiglianza con Messner, con il suo portamento da starec e la sua determinazione venata di follia, porta in sé qualcosa della genialità e dell’irrequietezza dei grandi spiriti russi. Nato nel 1951 nel villaggio di Ckalovo, nella regione di Zaporizzja, in Ucraina, in una famiglia di contadini e pescatori profondamente cristiani, fin da piccolo ha sentito l’impulso misterioso a viaggiare. Da bambino seguiva il padre in barca sul mar d’Azov e a 15 anni l’ha attraversato remando in solitaria. Il nonno di Fëdor era stato un ufficiale dell’esercito zarista, amico e compagno dell’esploratore Georgij Sedov, noto per le sue ricerche nella Novaja Zemlja, l’arcipelago fra il Mar di Barents e il Mar di Kara, e alla foce del fiume Kolyma, nella Siberia nord-orientale. Nel 1914, prima del suo ultimo viaggio nell’Artico, Sedov aveva regalato all’amico una catenina con una croce, chiedendogli di darla un giorno a chi tra i suoi figli o nipoti sarebbe stato in grado di realizzare il suo sogno: raggiungere il Polo Nord. Cosa che Fëdor ha fatto più di una volta, portando sempre al collo la croce di Sedov. La sua carriera è iniziata nel 1977, dopo gli studi all’Istituto Navale di Odessa e all’Istituto Artico e Antartico di Leningrado, quando ha organizzato una serie di viaggi sulle orme dei pionieri dell’estremo Oriente russo, per capire in che modo, due o tre secoli prima, quei compatrioti privi di attrezzature moderne, erano riusciti a visitare terre vergini tra le più inospitali al mondo. La vocazione di Konjuchov è invece adulta. È sbocciata anni fa nella solitudine dell’Oceano Pacifico, mentre cercava di raggiungere l’Antartide. Dopo essere sopravvissuto a una tempesta e un naufragio ormai certo. «Quando i venti hanno smesso di soffiare – ha raccontato all’agenzia Ria Novosti – è stato come un segno divino. A lungo ho faticato per il plauso della gente e per la fama. Ora voglio lavorare per Dio e per la Chiesa». Dopo il nulla osta del patriarca di Mosca Cirillo I, Konjuchov – che ha una moglie e un figlio – è stato ordinato sacerdote nel 2010 e incardinato nell’eparchia di Zaporizzja. Il suo servizio, forse non casualmente, si svolge sull’isola di Chortyca, situata nel mezzo del fiume Dnepr che solca la città. Un’isola famosa per essere stata la roccaforte dei Cosacchi – appellativo che viene dal turco e sta per 'uomini liberi' – che nella metà del XVI costruirono lì il loro primo forte e dove continuarono a riunirsi nei momenti critici, mantenendo vive le proprie tradizioni, fino a che nel 1775 Caterina II fece radere al suolo le loro istallazioni. Lì vivono ancora i pochi superstiti di un’etnia entrata nella leggenda. L’ultima salita di Konjuchov sull’Everest è nata dall’idea di celebrare la prima, avvenuta esattamente vent’anni fa. Prima di recarsi in Nepal, il sacerdote scalatore si è preparato fisicamente in Etiopia, dove ha scarpinato sulle nove vette principali del Paese, tutte sopra i 5000 metri, ha testato per conto del governo locale nuovi itinerari turistici in alta quota e dove, in quanto illustre rappresentante del Patriarcato di Mosca, ha potuto vedere la presunta Arca dell’Alleanza custodita nella cappella di Santa Maria di Sion, ad Axum. Spiritualmente Konjuchov si è invece allenato sul Monte Athos, dove si è ritirato per 40 giorni. Ora i suoi viaggi dovrebbero essere finiti. Così almeno sostiene Konjuchov. Il sogno che gli resta, e per cui sta cercando di raccogliere fondi, è quello di costruire una chiesa a Zaporizzja. Una chiesa di cui ha steso lui stesso un primo progetto e che vorrebbe dedicare a un altro Fëdor: Ušakov (1744-1817), grande viaggiatore, ammiraglio e ortodosso devotissimo. Colui che difese i mercantili russi nel Mediterraneo, riportò una serie di clamorose vittorie nella seconda guerra russo-turca, liberò l’isola di Corfù dalle truppe napoleoniche e riaprì le chiese che erano state chiuse al culto. Canonizzato, nel 2000 è stato nominato patrono della marina militare. E resta per Konjuchov un esempio di eroismo e pietà cristiana a servizio della Santa Russia.
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