mercoledì 24 settembre 2014
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«In Cattolica giravamo all’epoca del grande dibattito tra il professore [Severino] e il maestro Bontadini con La struttura originaria in mano». Il cardinale Angelo Scola ammette di essersi «spaccato la testa» sul primo libro dell’allievo di Gustavo Bontadini. E non è per pura cortesia che il Cardinale ricorda gli anni dei suoi studi filosofici. Si tratta, ora, di tener vivo il confronto su un tema in cui le distanze potrebbero approfondirsi fino alla separazione. Certo, su un tema come «il morire tra ragione e fede» tra il filosofo bresciano e il Cardinale di Santa Romana Chiesa gli aspetti di una comune radice nell’argomentare non sono facili da cancellare. Ma in mezzo ci sono anni di teoresi consolidata in volumi e saggi, che spesso hanno spinto il filosofo in direzioni lontane dalla Chiesa, e altrettanti di dialogo profondo con la cultura moderna da parte del prelato. Confronto sempre calato nella diuturna attività pastorale, necessariamente nutrito della concretezza delle persone, che il cardinal Scola trasforma in valore aggiunto per la stessa teoresi, non suo impedimento.Ecco quindi apparecchiata, in questo libro apparentemente breve e stringato, non più di cento pagine anche in comoda e annotabile edizione digitale (presentazione e cura di Ines Testoni e Giulio Goggi, editrice Marcianum Press), una ricca tavola di temi e motivi che vanno ben oltre l’occasione di una discussione sul significato odierno del morire e delle sue implicazioni sociali e politiche (ricordiamo che il confronto, di cui si riportano nel volume gli interventi seguiti da precisazioni e annotazioni successive, si è tenuto il marzo del 2009 al "Master Death Studies & The End of Life" dell’università di Padova).L’oltre è presto detto: il reciproco convenire sulla rilevanza della "fede". Severino cita sant’Agostino, un passo del De fide rerum quae non videntur che fu occasione nel 1930 di una splendida traduzione da parte di don Giuseppe De Luca: «Ma chiunque tu sia, tu che non vuoi credere se non ciò che vedi, tu vedi con gli occhi del corpo i corpi presenti e vedi con l’animo, poiché sono nel tuo animo, le tue volontà e i tuoi pensieri del momento; ora dimmi, ti prego, la buona disposizione del tuo amico verso di te con quali occhi la vedi? Nessuna disposizione, infatti, si può vedere con gli occhi del corpo. O vedi forse con il tuo animo anche ciò che avviene nell’animo altrui? Ma se non lo vedi, come ricambi a tua volta la benevolenza dell’amico, dal momento che non credi ciò che non sei in grado di vedere?». Da questo passo Severino si inoltra in una vertiginosa riflessione che slitta verso un altro dei focus della discussione: l’Amore.E qui val la pena indicare, a chi ancora crede che la declinazione amore-morte sia esclusiva dello stanco romanticismo dei moderni, che per Severino il "prossimo", essenziale messaggio evangelico, lo si deve volere come tale; lo si vuole amare, anzi, è perché lo si ama che lo si può chiamare prossimo, e, amandolo, lo si può pensare. È un po’ come sostituire alla volontà di potenza della tecnoscienza la volontà di amare che il Cristo ha inserito nella Storia e di cui questo momento storico vorrebbe farne a meno, non si capisce per quale strana considerazione, visto il guadagno effettivo che essa ha comportato per lo stesso sviluppo dell’uomo in quanto tale.È dall’Amore che il cardinale Scola dipana il discorso sulla morte e la resurrezione, sulla libertà e la fedeltà, sul desiderio di salute e quello di salvezza, solo in apparenza, e per difetto di visione, separati dalla nostra cultura. Le conseguenze pratiche e politiche nei confronti delle spinte dissolutive da parte della tecnoscienza che aspira a una salute senza salvezza e che per questo, alla fine, fa a meno anche della prima, il cardinale Scola le formula a partire dalla giusta pretesa a ragionare sui fondamenti che la morte impone.Severino pone interrogativi forti, come quando dice: «Il punto dal quale è necessario partire, se si vuole discutere il rapporto tra ragione e fede è il dogma per il quale già nel testo tomistico si afferma che una ragione, la quale si discosti dalla fede, è una non ragione. Ma perché? Risposta rilevante del testo tomistico: perché sia la verità di ragione sia la verità di fede sono date da Dio. Non è cosa da poco perché innanzitutto si deve sapere che c’è Dio e che Dio è colui che ha parlato nella rivelazione cristiana e ha stabilito la costituzione della ragione umana».Ma il cardinale Scola, sul finire della discussione, rilancia da una prospettiva che qualche difficoltà a Severino la pone certamente: «Credo – dice il Cardinale – che il rapporto ragione-fede, così come da Lei impostato, sia un po’ diverso da come noi, oggi, nella teologia cattolica, lo intendiamo, proprio perché è diversa la concezione della verità [rispetto a san Tommaso]. Anche tutto il discorso sull’incontrovertibile e il controvertibile [caratteristiche opposte della scienza e della fede] sta nella misura in cui la questione della verità non è colta nella sua natura di evento simultaneamente trascendente e storico, ed è l’inevitabilità della sua storicità che costringe la ragione a fare i conti con la fede».
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