sabato 24 ottobre 2015
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Padre Guido Bertagna ha operato a lungo in carcere a San Vittore e al centro Culturale San Fedele di Milano dove questo 'incontro' fra ex della lotta armata e familiari delle vittime è iniziato. Incontro che alla fine si è deciso, dopo mille dubbi, di trasferire in un libro ("Il libro dell'incontro" (Il Saggiatore, pagg. 420, euro 22). Come è nata l’idea? «Con Ceretti e Mazzuccato, i docenti con cui abbiamo pensato e ripensato a questo progetto, amiamo dire che questo percorso si è imposto nelle nostre vite. Ho passato anni a incontrare persone che avevano sulle spalle storie dolorose di quel periodo insanguinato. A un certo punto abbiamo pensato che era possibile mettersi insieme, per condividere un dolore vissuto su fronti opposti. Anche con l’obiettivo di non tenersi dentro questo dolore per sempre, ma trarne delle riflessioni che potessero essere utili alle giovani generazioni». Il ruolo della Chiesa in questo percorso? «La stagione dei pentiti è stata una risposta emergenziale a un momento choccante per tutti, anche per la Chiesa, che vedeva questi giovani dietro le sbarre. Il cammino dei singoli è stata altra cosa, iniziata dopo i processi, a prescindere dal vantaggio giuridico che poteva derivarne. Si è lavorato con il metodo della 'giustizia riparativa', fra colpevoli e vittime, molto presente nell’esperienza anglo-sassone. Rispondere al male col male non è la soluzione». Chi ha fatto più fatica a fare il passo? «Da parte di ex della lotta armata c’era la prudenza di avvicinarsi a persone che potevano considerare insopportabile questo approccio. Il pudore della consapevolezza del male arrecato. Ma anche le vittime hanno considerato liberante scoprire che dall’altra parte non c’erano mostri ma persone». Cruciale, si intuisce, l’incontro fra 'volti', in un’epoca di comunicazione virtuale. Come è stato possibile spiegarlo in un libro? «C’è stato a lungo il timore di offrire al lettore qualcosa di parziale. Ma alla fine sempre più persone, dopo tanti incontri (la maggior parte all’Abbazia di Viboldone) dicevano che quest’esperienza andava comunicata. Finché la voglia di coinvolgere anche altri e di poter raccontare questa esperienza ai giovani, ha preso il sopravvento». Forse è ancor più complicato spiegarsi con chi non ha vittime da ricordare. «Questo paradosso è accresciuto dal fatto che l’articolo 27 della Costituzione sulle finalità della pena fu proprio Aldo Moro a volerlo fortemente. È stato fondamentale all’inizio proteggere la riservatezza dei singoli, ma ora diventa importante uscire all’esterno e far conoscere il nostro lavoro. Sono fatti che hanno riguardato tutti, non solo le persone coinvolte. Ognuno potrà dire la sua, ponendo mille domande». Il percorso però è ancora agli inizi nell’eversione di destra. «Col mondo della destra i contatti sono partiti da tempo, ma è stato difficile entrarci dentro e metterlo in contatto col mondo del terrorismo di sinistra, anche perché ogni parte vede nell’operato dell’altra una delle ragioni della propria scelta. Ma anche in questo caso si scopre che è un’altra cosa quando le persone entrano in contatto fra loro». I contributi da destra nel libro restano ancora anonimi. «Sì, ma nell’e-book che sarà disponibile on line fra poco, ci saranno anche contributi di ex della lotta armata di destra».
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