Monte Sinai monastero di santa Caterina - Epa/Marwan Naamani/Ansa
Il nuovo approccio al tema della collocazione del Monte Sinai e della storicità dell’Esodo sarà oggi al centro di un seminario al Centro studi san Maiolo Abate di Novara. Organizzato dalla associazione Nuova Regaldi, vede gli interventi di don Silvio Barbaglia, biblista, Fabio Crosilla, topografo, e dell’archeologo Emmanuel Anati. Barbaglia presenterà una tesi che vede nell’epoca persiana ed ellenistica, tra il V e il III secolo a.C., l’ambito storico per l’elaborazione dello scenario del ciclo dell’Esodo come un “racconto fondatore”: «L’esodo – spiega – costituisce il fulcro generatore della fede dell’ebraismo e il luogo di rilettura della resurrezione di Cristo per il cristianesimo. Quindi è argomento molto “sensibile”. Molti ricercatori si sono applicati per cercare tracce archeologiche che confermassero il racconto della liberazione dalla schiavitù del Faraone e qualcosa han trovato; nel corso dei dibattiti si è giunti a fissare quel ricordo all’epoca dei grandi faraoni della XIX Dinastia, Ramses II e Merneptah (XIII secolo a.C.). Ma altri hanno messo in discussione che ciò possa essere accaduto e che sia frutto di un mito fondatore di una tradizione religiosa. In una parola: l’Esodo è storia o leggenda?». Continua il biblista: «Da circa quarant’anni Emmanuel Anati ritiene di avere individuato la collocazione precisa del monte sul quale Mosè ricevette da Dio le Tavole della legge. Anati ritiene, dopo anni di osservazioni, di decifrazioni di graffiti e di individuazione di luoghi sacri delle popolazioni del deserto, che tale monte sia identificabile con Har Karkom, la “Montagna dello zafferano”, conosciuta dalle genti del deserto come il Monte delle moltitudini. L’archeologo è convinto che l’Esodo rispecchi il racconto di un itinerario molto preciso e ancora oggi visibile in diversi luoghi del deserto; ritiene però che vada riscritta tutta la storia dell’epopea, riportandola indietro di circa mille anni, dal XIII al XXIII secolo a.C. Le sue ricerche individuano luoghi che riportano segni molto antichi delle popolazioni del deserto, ma nessuno di questi porta il marchio chiaro di Israele. Si tratta invece di luoghi funzionali a riti sacri e quindi la stessa montagna diviene, con alta probabilità, il luogo di massima concentrazione di sacralità nel deserto del Neghev. Questo è l’elemento da salvare della ricerca di Anati: chiunque anche in epoca persiana e poi ellenistica (tra il V e il III secolo a.C.) attraversando quelle regioni non poteva non riconoscere che anticamente quel monte fosse stato abitato da popolazioni del deserto con funzione rituale. Per questo Har Karkom può divenire il miglior candidato tra i monti del deserto del Neghev e della penisola sinaitica: il Monte di Dio, il monte dal quale Dio diede la legge ad Israele». Ma la legge che Dio diede ad Israele comincia a essere praticata nella sua integrità a partire dall’epoca persiana ed ellenistica e divenne come un corpo legislativo per popolazioni sedentarie e non certo nomadiche. «Ecco allora l’ipotesi di scrittura di un “racconto fondatore”, con proprie coordinate temporali e topografiche, funzionali a fondare un vissuto già in atto nella Gerusalemme del V secolo a.C». Si tratta allora di storia o di leggenda? «Né l’una né l’altra, bensì di “storia fondativa”, ovvero una storia che comincia ad avere tutti i suoi tratti di verità e di fedeltà a partire dalla raccolta di tradizioni anteriori ricomposte nel racconto che dà vita a una “nuova storia”, iscritta nel testo sacro, più vera della storia accaduta perché già sperimentata nel presente della fede di Israele».