lunedì 9 gennaio 2017
Il cantautore Premio Tenco-NuovoImaie 2016. Al mattino lavora alla Asl e il resto del tempo suona e scrive brani di denuncia sociale
Il cantautore Gianluca Secco, nuovo talento premiato al Tenco (foto Raffaella Vismara)

Il cantautore Gianluca Secco, nuovo talento premiato al Tenco (foto Raffaella Vismara)

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Quando è apparso sul palco dello scorso Premio Tenco ruggendo nel microfono con grinta leonina, solo voce e luci e movenze da sciamano sioux, ha lasciato tutti incollati alle rosse poltrone dell’Ariston. In quindici minuti di esibizione Gianluca Secco ha ribaltato il concetto di cantautore, indicando una via inedita per la musica di qualità 2.0 e portandosi a casa il Premio Tenco-NuovoImaie per la migliore interpretazione 2016. Un vero e proprio one man show quello del cantautore friulano (è nato a Gemona nel 1981) che unisce cantautorato, poesia e teatro sulle orme del suo mito Giorgio Gaber, raccontando storie e inquietudini del nostro tempo e soprattutto temi sociali, i migranti, la malasanità, le nuove povertà. Se siete dalle parti di Albizzate ( Varese) il 14 gennaio, o a Bologna 15 gennaio o a Firenze il 10 febbraio potrete sentirlo cantare i brani del suo album Immobile, uscito per MArteLabel e anch’esso candidato al Tenco come miglior esordio. «Immobile perché stare immobili è l’unica azione che ci fa fermare a riflettere». spiega.

E tutto questo nasce dalla capacità di reinventarsi dopo un brutto incidente che gli ha portato via un braccio nel 2005 e di cui Gianluca non ama parlare. «Suonavo la batteria in diversi gruppi rock underground, non potendolo più fare mi sono concentrato sulla voce» ci racconta con quel tono profondo che viene sovrapposto più volte, grazie a una loop station, nelle sue canzoni senza strumenti (basta ascoltare il brano Il volo, video sopra ndr). Di carattere ne ha da vendere questo trentenne di una bellezza magnetica che si trasforma in performances teatrali d’impatto e contenuti profondi. D’altronde di vita ne ha vissuta lui, figlio di un alpino, abituato a vivere fin da bambino in diverse città d’Italia e dell’Europa del-l’Est. Alla fine la famiglia fa base a Verona e lì il 15enne Gianluca sviluppa la passione per la musica suonando la batteria, iniziando a scrivere brani e divenendo a fine anni 90 la voce di una band di estrazione post-rock, i Dolcenera, «prima che Dolcenera ci fregasse il nome» sorride. Nel 2005 trova l’amore e si trasferisce a Carpineto Romano, e diventa la voce della band hard rock SenzAEssenza. «Nel 2010 ho deciso di mollare tutto, mi sentivo incompleto – racconta –. Mi sono chiuso in sala prove che in realtà è una baracca in giardino, ma è la mia tana. Ed ho cominciato a sperimentare». Tutti i pomeriggi li passa lì dentro, mentre le mattine lavora come sportellista alla Asl. «Una palestra di vita, ogni mattina incontri 200 persone arrabbiate contro le lungaggini della burocrazia, a cui tu tenti di dare risposte. Lì trovo le mie storie». E proprio dalle lunghe fila alla Asl nasce il suo graffiante Monologo di un cinico contemporaneo sulla sanità, edito insieme al cd, che presto porterà in scena insieme all’amico attore Luigi Morra. Contaminazione è la sua parola d’ordine e attraverso una voce potente che è un concentrato di rabbia e dolore, ma anche amore e forza. «Nel mio modo di scrivere affronto in modo visionario le emozioni vissute sulla mia pelle, cerco di colorarle con la mia interpretazione e un uso della parola molto attento» aggiunge dicendosi di voler raccontare anche l’attualità. Il brano Perla salata è una poesia sulle morti dei migranti nel Mediterraneo, in Ovest Boulveard Secco racconta l’Occidente come un vecchio vagabondo che non ha nulla da offrire. «Per il prossimo disco che ho in lavorazione sto pensando a un brano sul terrorismo ma non ho ancora chiaro come affrontarlo» rivela, mentre al Tenco ha già fatto assaggiare due intensi brani, Sangue ispirato allo sterminio degli indiani «che assomiglia allo sterminio dei migranti di oggi» e Di schianto, «un testo che parla della strada, dove spesso ho suonato, e dei troppi nuovi poveri che finiscono a vivere ai margini dei marciapiedi».

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