giovedì 11 luglio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
L’ultimo saluto: per le persone celebri si allestiscono camere ardenti in luoghi pubblici e in un rito collettivo sfila la gente sotto gli occhi delle telecamere. Ma gli altri, i tanti per i quali la famiglia non dispone di spazi idonei ove parenti e amici possano raccogliersi nell’afflato della pietà, dove attendono il momento delle esequie? L’argomento, per solito evitato come un tabù dalla cultura odierna, viene affrontato da Tanato. Space Exhibition, esposizione presso l’Urban Center di Bologna (fino al 20 luglio) sostenuta tra gli altri dalla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna e dall’Università felsinea. «Mi sono posto il problema dopo aver scoperto che in tutta Italia sono attive solo 50 case funerarie gestite da imprese private, nate nel silenzio che circonda il tema della morte, prive di progettazione architettonica», spiega Luigi Bartolomei, docente al Dipartimento di architettura di Bologna. Insieme con altri studiosi ed esperti (tra cui Alberto Bortolotti, Carmelo Pezzino e don Maurizio Tagliaferri) parteciperà oggi al simposio «Una casa funeraria per Bologna?», in programma alle 17.30 nell’ambito di Tanato. «Nelle campagne – aggiunge Bartolomei – si mantengono ancora i momenti comunitari e nelle case vi sono spazi che consentono di conservare la salma per l’ultimo saluto. Nelle città, la carenza di spazi porta a una situazione per la quale il caso più frequente è che il feretro sia salutato da parenti e amici solo una mezz’ora prima del funerale, nella confusione dell’urgenza degli spazi obitoriali, incrociando altre bare e altri cortei in ambienti limitati, carenti della dignità che il momento richiederebbe. Non è un problema per i morti, ma lo è per i vivi, in questa nostra cultura che esorcizza la morte e l’emargina, cercando di nasconderla sino all’inevitabilità dell’ultimo momento».E così ha pensato di sollecitare gli studenti... «Da tempo a Bologna trattiamo come argomento curricolare la progettazione di spazi sacri. Nell’anno accademico 2011-12 abbiamo proposto agli studenti del V anno di Ingegneria edile-architettura di formulare ipotesi per la trasformazione della sede del Cif (Consorzio imprese funebri di Bologna). Gli studenti hanno aderito con molto interesse e impegno: si tratta di un tema-limite, che riconduce a problemi di carattere esistenziale. E propone di riportare entro la città il tema della morte, che da questa fu emarginato dal noto editto napoleonico. Ne sono nate idee progettuali per funeral house dignitose, oggi assenti in Italia».All’estero ve ne sono?«Sì. Per esempio in Spagna vi sono diverse città con case funerarie, spesso comunali, a volte a partecipazione pubblico-privata, ben progettate e di notevole qualità. Penso per esempio all’obitorio crematorio di Terrassa, presso Barcellona, progettato da Francesc Badia. Un’architettura pulita, sobria, che ispira serenità».Che tipo di progetti hanno compiuto gli studenti? «Si è riscoperto, in forme contemporanee, il tema del mausoleo, ove ogni persona defunta possa trovare uno spazio proprio, singolo, volto a celebrarne la vita nella prospettiva trascendente. Esplorando un linguaggio del sacro essenziale e quindi non confessionale, così da essere aperto alle diverse religioni o a chi religioso non è. Con molta attenzione ai percorsi: ingresso pedonale, un giardino, una prima stanza per l’incontro dei familiari, infine il luogo per il feretro. Il tutto scandito da un’attenta dosatura di luci e ombre che consenta di dilatare il tempo nello spazio. L’esercitazione accademica si è conclusa con un workshop di quattro giorni presso il convento delle suore agostiniane di Santa Chiara da Montefalco, che hanno condiviso l’obiettivo di riportare l’attenzione sulla morte entro i confini della città».A Bologna continuate con corsi curricolari che hanno a che fare col sacro: lo ritenete argomento importante per la formazione dei progettisti?«L’educazione al progetto ovviamente insiste su temi di carattere fisico e funzionale. Il problema è che l’architettura è per la persona, e questa sempre abita la dimensione sovrannaturale: per questo l’aspetto sacrale appartiene al fondamento dell’architettura. E la sua manifestazione va ricercata attraverso i valori di dignità e di significatività. Anche una pompa di benzina costituisce un ambiente che si mette a confronto con l’integrità dell’essere umano che ne usa. Quindi la mera formazione tecnica non basta: il vero progettista è un umanista che sa proiettare il proprio pensiero nella forma tecnologica: al centro di tutto sta l’essere umano».Molti ritengono che l’aspetto simbolico sia essenziale per ottenere questa rispondenza tra essere umano e architettura... «Certo. Ma vi sono aspetti simbolici evoluti di carattere confessionale. Per esempio il chi-ro è simbolo cristologico evoluto, comprensibile a chi appartiene alla cultura cristiana: un buddhista potrebbe intenderlo come simbolo della ruota, seppure priva di un asse, che a sua volta è simbolo evoluto solo per la cultura buddhista. Ci sono poi espressioni simboliche i più ampie e archetipiche, quali quella del labirinto che, da Minosse a Chartres, attraversa diversi momenti storici e parla a diverse sensibilità. E una realtà simbolica più universale che attiene immediatamente alla percezione: il buio, la luce, il bianco, col loro valore emotivo. Nello studio delle funeral house ci siamo rivolti a questa sensibilità universale».​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: