mercoledì 8 luglio 2015
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Centoquarantaquattro tv locali che rischiano di scomparire dagli schermi italiani. La numerazione sui televisori di casa che potrebbe essere stravolta. I canoni pagati allo Stato dalle stazioni del territorio non ancora definiti. E lo spettro di nuovi tagli nell’etere per destinare alla telefonia mobile un altro spicchio di frequenze usate dalle oltre seicento tv locali della Penisola per andare in onda. Non è solo la crisi che tiene in fibrillazione le reti del territorio. «Le scelte che la politica e le autorità indipendenti hanno compiuto negli ultimi tempi penalizzano un comparto che, a differenza di quanto molti credono, è di primaria importanza – spiega Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti- Corallo, l’associazione che raccoglie oltre mille imprese radiotelevisive del Paese –. I nostri numeri e quelli dell’indotto dimostrano che non siamo piccole tv, come qualcuno ci chiama». Rossignoli elenca le cifre. «I giornalisti assunti regolarmente dalle televisioni locali sono oltre 2.500 in tutta Italia. Nessun altro network vanta un dato simile: la Rai ha 2.000 giornalisti; tutte le altre emittenti nazionali 1.500. E poi ci sono altri 6.000 dipendenti a cui le stazioni del territorio danno lavoro, fra tecnici, personale amministrativo e commerciale». Un “colosso” che, però, è messo in ginocchio da chi ha in mano il potere decisionale. «In troppi si limitano a ripetere che l’emittenza locale è un valore aggiunto. Ma, ogni volta che si agisce, il risultato va immancabilmente nella direzione opposta, ossia quella di ridurre sempre più gli spazi di manovra per le stazioni locali, a tutto vantaggio dei network nazionali», denuncia Luigi Bardelli, presidente dell’associazione Corallo. Oggi, a Roma, l’Aeranti-Corallo convoca i suoi stati generali. Un appuntamento in cui le emittenti mettono a confronto le posizioni degli interlocutori che possono giocare un loro ruolo nel delineare gli assetti del settore: il governo, l’Agcom, la Federazione nazionale della stampa. «C’è bisogno di valorizzare la comunicazione dal basso», afferma Bardelli. Uno dei nodi critici è il futuro delle 144 reti che, secondo l’esecutivo, devono “rottamare” le loro frequenze. Perché trasmettono su canali che creano interferenze alle stazioni oltre confine. Accade nelle regioni che si affacciano sull’Adriatico dove le reti italiane disturbano le “colleghe” di Croazia o Albania, ma anche lungo il Tirreno dove vengono “intralciate” le trasmissioni della Corsica. La ragione di questo caos? La decisione dello Stato di assegnare negli anni scorsi a Rai, Mediaset e La7 frequenze ottimali e quindi “protette”, mentre alle locali sono andati pacchetti di canali che, stando alle disposizioni internazionali, non potevano essere concessi dal momento che causano problemi di ricezione all’estero. «E gli editori locali hanno ipotecato persino le loro case per utilizzarli con il passaggio al digitale terrestre », racconta Bardelli. Adesso il governo, con l’Agcom, impone alle reti di liberare le frequenze «volontariamente» versando indennizzi irrisori: in Molise, ad esempio, le emittenti che occupano lo stesso canale valgono al massimo 90mila euro. «Sono già iniziati i ricorsi alla magistratura», fa sapere Rossignoli. E non è una via d’uscita l’intenzione dell’esecutivo di destinare alle tv locali le sei frequenze nazionali, che erano al centro del controverso beauty contest, quando i canali da lasciare sono settantasei. «Tra l’altro le sei frequenze potranno essere usate al massimo fino al 2020», chiarisce il coordinatore dell’associazione. Bardelli è preoccupato. «Si vogliono mettere a tacere le voci del comprensorio obbligando le emittenti ad ammainare le antenne». Anche la questione dei nuovi canoni è un macigno non ancora rimosso. Era stato previsto un maxi-aumento per le reti locali a fronte di una sconto, da almeno 40 milioni di euro, per Rai e Mediaset. «Il governo ha promesso una revisione, ma nessun provvedimento è stato  portato in Consiglio dei ministri», dichiara Rossignoli. Inoltre potrebbero essere ridiscussi anche i “numeri” con cui le stazioni compaiono sugli schermi. «Se ciò avvenisse, le emittenti scomparirebbero dai televisori anche per settimane, in attesa di essere risintonizzati», sostiene il coordinatore dell’Aeranti-Corallo. Bardelli punta l’indice contro la mancanza di una visione d’insieme in Italia. «Il caso delle interferenze e l’ipotesi di dover liberare altri canali per cederli alle società telefoniche dicono che la Penisola non può omologarsi a una prospettiva europea che non tiene conto della ricchezza tutta italiana dell’emittenza televisiva locale. Un patrimonio che va tutelato e non smantellato».
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