venerdì 17 giugno 2022
Palazzo Reale celebra gli anni Sessanta nel capoluogo ligure, vivaci anche nelle arti dall’architettura al design. Ma già covavano i germi della crisi
Finzi-Martinoia-Pagani-Sironi, Palasport, Fiera del Mare di Genova, 1960-1963

Finzi-Martinoia-Pagani-Sironi, Palasport, Fiera del Mare di Genova, 1960-1963 - foto di Jacopo Baccani/Esseci

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Chi è nato tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta si ricorda perfettamente di avere studiato sulle pagine dei sussidiari delle elementari il triangolo industriale Torino-Milano-Genova. Ora, non solo chi di quella generazione ha oggi figli nella scuola primaria si sarà accorto che quel triangolo si è eclissato dal panorama dell’economia italiana.

Nella transizione verso il terziario seguita alla lunga agonia della breve età dell’Italia industriale, il triangolo si è trasformato in un tratto di linea, gonfiato dalle infrastrutture che legano Milano e Torino. Genova appare come un punto a sé, e anche fortemente interrogativo. Questa trasformazione in un sistema binario si è proiettata retrospettivamente anche sulla narrazione del sistema culturale di quegli anni.

Eppure Genova, emblema già nel XIX secolo di città moderna, è uno schermo ideale per raccontare gli entusiasmi, le contraddizioni e le cicatrici che caratterizzarono gli anni del boom su tutto il territorio nazionale.

Labò-Olcese-Toninelli-Grossi Bianchi-Fera, Museo d’Arte orientale Edoardo Chiossone, 1949-1971

Labò-Olcese-Toninelli-Grossi Bianchi-Fera, Museo d’Arte orientale Edoardo Chiossone, 1949-1971 - foto di Paolo Monti/Esseci

Tutto questo appare chiaro da “Genova Sessanta. Arti visive, architettura e società”, mostra di studio allestita nel teatro di Palazzo Reale di Genova, a cura di Alessandra Guerrini e Luca Leoncini (catalogo Silvana Editoriale; fino al 31 luglio). L’obiettivo è raccontare attraverso l’architettura, l’arte, il design, la fotografia un decennio che ha ridefinito volto e corpo della città. Un decennio che parte molto prima, con i bombardamenti alleati e la ricostruzione. Il boom economico visto da Genova è davvero un’enorme bolla di limatura d’acciaio e cemento.

Proprio le sezioni dedicate all’urbanistica e all’architettura sono le più interessanti (a cui corrispondono esemplari i saggi in catalogo). Se la seconda vede una serie di realizzazioni improntate alla sperimentazione e alla molteplicità dei riferimenti culturali (i complessi Ina casa di Daneri, i musei di Labò e Albini-Helg, il palasport di Finzi e soci, lo stesso viadotto Polcevera di Morandi fino agli esordi di Renzo Piano) ma anche una interessante edilizia residenziale di lusso, l’urbanistica vede una crisi della pianificazione.

Una delle urgenze del dopoguerra è la carenza degli alloggi. Il tessuto urbano di Genova appare sottoposto a un processo inflazionario, un’espansione così rapida, tumultuosa e irriflessa da non consentire un’adeguata strutturazione del processo e dei suoi risultati. La Superba si scopre fragilissima: nel 1968, con il crollo di via Digione (15.000 metri cubi di roccia si schiantano su una palazzina, uccidendo 19 persone) e con l’alluvione dell’ottobre 1970, in cui perdono la vita 44 persone. Tra 1951 e 1971 vengono costruiti 145 milioni di metri cubi di sola edilizia residenziale, spesso in aree a rischio sotto il profilo idrogeologico. Un trend che, nonostante, i ripetuti disastri, non si è arrestato negli anni seguenti.

Lisetta Carmi, Genova Porto, 1964

Lisetta Carmi, Genova Porto, 1964 - courtesy Archivio Lisetta Carmi © Lisetta CarmiMartini & Ronchetti/Esseci

Ma la fragilità si sarebbe rivelata presto anche economica: le fotografie che mostrano Eugenio Carmi all’opera nell’Italsider appartengono a un’altra era, così come quelle di Francesco Leoni con Liz Taylor o Walt Disney a bordo dei transatlantici – controparte di quelle, straordinarie, di Lisetta Carmi tra i “travestiti”.

La volontà di mostrare la vivacità di Genova e la voglia di farla uscire dai cliché tende forse a far passare sottotraccia alcuni di questi aspetti (la grande industria appare di fatto solo come promotrice delle arti) e serve un occhio un po’ disincantato. Ma resta un affresco corale di indubbio fascino.

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