lunedì 16 giugno 2014
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​«Le cosiddette "nuove tecnologie" si caratterizzano per non essere semplicemente strumenti per il sapere. Esse sono all’origine della costruzione di un diverso sapere, che potremmo definire "sapere tecnologico". Uno strumento per il sapere non muta l’assetto costitutivo di un determinato ambito disciplinare in cui lo si utilizza; diversamente, il sapere tecnologico è un sapere la cui trama concettuale si ridisegna sulla base di ciò che le tecnologie offrono e richiedono». A parlare è Mauro Palma. Matematico, ha insegnato per molti anni nei licei, occupandosi di didattica della matematica e dell’informatica. Dal 1997 è il coordinatore scientifico del settore Scuola dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Con Walter Maraschini ha curato un fortunatissimo manuale di matematica per la scuola secondaria (pubblicato da Paravia-Pearson) e, di recente, la Garzantina di matematica (uscita lo scorso dicembre).Professor Palma, come sta cambiando, e come dovrebbe cambiare, la didattica della matematica grazie alle nuove tecnologie?«Da sempre la matematica (e il suo insegnamento) si struttura attorno agli strumenti di cui dispone. In passato, per esempio, una parte consistente della didattica era dedicata ai metodi per utilizzare tavole logaritmiche e trigonometriche, quali strumenti per alcuni aspetti del calcolo, e molti avevano dedicato ricerca e studio per la loro costruzione. Oggi tale argomento non riveste alcun interesse, mentre è molto più utile la capacità di controllo sui risultati che un esecutore automatico quale un computer ci offre. Lo spostamento dall’applicazione al controllo è evidente. Ma gli esempi sono molti: se in passato si dedicava molto tempo a fornire metodi per disegnare il grafico di una funzione, oggi è ben più importante saper leggere un grafico che una semplice calcolatrice ci può fornire, cioè capire quali deduzioni si possono fare a partire da esso». Come possiamo far sì che la tecnologia sia una risorsa e non diventi piuttosto un problema?«L’unico modo è non essere passivi rispetto ai mutamenti. Se prima il paradigma della costruzione di un sapere che producesse conoscenze e inclusione sociale era fornire informazioni ampie e corrette, oggi il nuovo paradigma è costruire capacità di orientamento all’interno della vastità di informazioni disponibili in rete. La minorità culturale non è più nel non accesso all’informazione, ma nella subalternità acritica a un’informazione pletorica e non organizzata gerarchicamente: selezionare informazioni e costruire loro gerarchie sulla base di uno specifico obiettivo o di uno specifico problema da risolvere è la sfida della costruzione culturale di un ragazzo che studia oggi».A cosa serve studiare matematica nella scuola attuale?«Una prima risposta si trova nella pervasività degli aspetti numerici e rappresentativi nel contesto contemporaneo. Basta sfogliare un giornale per rendersi conto che i processi di numerizzazione dei fenomeni, non solo scientifici ma anche sociali, sono diffusi al punto di diventare una componente essenziale per la formazione di un pensiero critico pur elementare. Tabelle, indici statistici, valori percentuali occupano una parte considerevole degli spazi un tempo presi dalla descrizione testuale. C’è poi una seconda necessità, quella di saper controllare, almeno negli aspetti basilari, le molte interazioni automatiche che avvengono tra noi e i problemi che quotidianamente affrontiamo. Ciò si ottiene attraverso lo sviluppo della capacità di valutare i risultati, di capirne l’attendibilità, di modificare adeguatamente le nostre strategie risolutive».Fin qui lei ha parlato di una matematica, diciamo così, "per il cittadino", cioè della possibilità di sviluppare strumenti di analisi critica personale. Ma qual è la peculiarità culturale di questa disciplina?«Occorre tenere presenti le due "facce" della matematica. La prima è la faccia euristica, la capacità di costruire strategie per risolvere situazioni problematiche, siano esse di tipo concreto (la soluzione di un problema in senso classico) siano invece di tipo logico-astratto (la dimostrazione di un’ipotesi). In entrambi i casi la matematica, a differenza delle scienze sperimentali, ricorre a un processo di simbolizzazione e astrazione, per rendere più generale e al contempo più trattabile il problema da affrontare. Utilizza una grammatica propria, fatta di simboli e regole, non per rimanere chiusa in essa; per la dirla con una formula, si parte dal concreto per andare a un astratto che rappresenti una pluriconcretezza, permetta cioè di tornare a più concreti».E la seconda faccia?«È quella della sistemazione, cioè della composizione dei propri strumenti in una costruzione teorica che renda visibili le analogie strutturali tra situazioni apparentemente diverse, così come consenta di capire le irriducibili differenze. Ecco, la matematica sotto questo aspetto aiuta a catalogare proprietà, a distinguerle a seconda della loro rilevanza nei diversi contesti, a cogliere gli aspetti strutturali di ciò che si osserva o si analizza, sia esso un’immagine, un fenomeno, una questione teorica, a capire quali siano le relazioni che legano le sue parti, al di là delle loro apparenze. Certamente non è poco, e mi sembra un’esigenza insopprimibile nella complessità, spesso caotica, del mondo di oggi».Ci sono dei valori della cultura scientifica diciamo "tradizionale" che rischiano di essere travolti dall’ondata digitale?«La cultura scientifica ha sempre avuto un rapporto positivo con quanto la tecnologia rendeva disponibile. Si è strutturata attorno agli strumenti: non esiste un Galileo senza telescopio. Ma non sempre il rapporto tra scienza e strumenti è stato monodirezionale, cioè dei secondi a supporto della prima. L’esperienza scientifica di un personaggio come il logico inglese Alan Turing, vissuto nella prima metà del Novecento, mostra la possibilità della prefigurazione teorica degli strumenti tecnologici: il suo disegno di un automa universale delineò la logica di un computer, ben prima che la ricerca tecnologica ne permettesse la realizzazione. Saper leggere questo doppio rapporto come struttura portante delle discipline scientifiche è forse la sfida culturale che oggi ci troviamo di fronte. Anche per superare quella carenza di conoscenze scientifiche che tuttora connota larga parte dell’intellettualità del nostro Paese».
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