domenica 31 luglio 2011
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«Il digitale terrestre non ha mantenuto le sue promesse». Lo afferma convinto Piermarco Aroldi, vicedirettore di Osscom, il centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica di Milano. Che vede con grande preoccupazione la possibile strage di emittenti locali per effetto delle nuove regole sulle frequenze.Professore, le nuove norme rischiano di falcidiare le tv locali: ne potrebbero sparire 250 su 580. Com’è possibile?Esiste un’esigenza di razionalizzare le risorse di banda ed è normale che ci siano delle barriere d’accesso, ma se i criteri sono solo il budget, il numero dei dipendenti e l’area d’estensione è matematico che si tolga la voce alle realtà più piccole, specie a tante tv della comunità.Ma il digitale non doveva portare maggiore pluralismo?In realtà questo nuovo sistema potrebbe paradossalmente tradursi in una limitazione della libertà d’espressione, a favore dei soggetti più forti. I quali, oltretutto, non stanno facendo una televisione migliore. Rispetto alle premesse e alle promesse con cui è stato varato il passaggio al digitale terrestre, molto sinora non è stato mantenuto. La tecnologia digitale è nata vecchia, non copre tutto il territorio nazionale, né è stata in grado di creare l’auspicata "cittadinanza digitale". E, soprattutto, l’attuale offerta televisiva è, nel suo complesso, deludente.A cominciare da Rai e Mediaset, quindi?La Rai ha spostato la programmazione da servizio pubblico sui canali digitali, liberando risorse dai canali principali per fare competizione alla tv commerciale. La cultura e la tv dei ragazzi sono state relegate sul digitale, come una sorta di valvola di sfogo: sono diventati un ghetto, un luogo in cui non si investe. Mediaset, invece, ha trovato nel digitale soprattutto un terreno su cui competere con Sky sul fronte della tv a pagamento. Però tante tv locali hanno investito, anche la di là delle loro forze, per adeguarsi alla tecnologia digitale. Cosa ne sarà di loro?Qui sta un problema importante. Tutto il sistema si è concentrato più sulla tecnologia che sui contenuti. Se si guarda la programmazione di molte tv private sembra di essere tornati agli anni 80. L’ampliamento dei canali non ha, in generale, prodotto un nuovo modo di fare televisione. E a farne le spese, alla fine, sono soprattutto le tv della comunità che, essendo voci fuori dal coro e senza fini di lucro, rischiano di finire schiacciate in un sistema più grande di loro.Vede soluzioni praticabili? Queste emittenti devono trovare un’alternativa per portare avanti il loro importante ruolo comunitario. I media si stanno evolvendo e la frammentazione del pubblico tv non aiuta. In futuro la voce territoriale l’utente andrà a cercarla sul Web. C’è però ancora un pubblico che ha bisogno di più attenzione, un pubblico per il quale vale la pena di investire sulla tv.E se questa «tele-mattanza» fosse irreversibile, quale sarebbe la possibile via d’uscita?La regola del consorzio è quella vincente, magari intorno a un network nazionale come Tv2000. Si tratta di mettere insieme i piccoli, così da avere bacino di copertura abbastanza ampio e risorse economiche adeguate agli standard del ministero. Se si vuole sostenere l’investimento culturale su una voce alternativa e dare e sostegno alla vita comunitaria, è l’unione che fa la forza.
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