venerdì 29 aprile 2011
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Sulle nude pareti della valle dei Laghi, piccolo giardino terrestre dalle rocce immacolate, gli arrampicatori tedeschi e francesi possono finalmente affondare i loro artigli. A fine aprile s’attendano nei campeggi e, col naso all’insù, scrutano finalmente gli strapiombanti passaggi studiati d’inverno sulle guide di carta. «Le ascensioni sul Brento e sul Casale sono ormai note all’estero quasi come le vie classiche delle Dolomiti – ammette l’accademico del Cai, Marco Furlani – anche noi trentini le abbiamo scoperte solo negli anni Sessanta, ma è magnifico scalare queste linee verticali in un ambiente davvero unico». Con l’immenso lago giù sotto, le nevi perenni dell’Adamello là dietro all’orizzonte, ed il soffio tiepido dell’ "Ora" del Garda che s’insinua benevolo perfino dentro il sesto grado della sconosciuta gola di Toblino, a due passi dall’omonimo leggendario castello sul lago. Anche gli infaticabili "rampichini" o i tranquilli cicloturisti scesi apposta dal Brennero trovano incantevole fermarsi quassù nella comoda valle dei Laghi – a quindici minuti dalla stazione di Trento e altrettanti dal porto di Riva del Garda – perché vi scoprono una palestra a cielo aperto in quella "riviera del Garda" che ammaliò Goethe e Montaigne, suoi cantori, e conquistò nell’Ottocento anche il poeta tedesco Anselm Feuerbach e il nostro Antonio Fogazzaro. Ma fin dall’epoca romana, gli abitanti di questi paesi – circa diecimila oggi, sparsi in otto Comuni lungo una ventina di chilometri, arricchita da nove specchi d’acqua – sanno di dover ringraziare per il clima favorevole: un dono che arriva dal tramonto del Pliocene, un milione e ottocento mila anni fa. Il ritiro dei ghiacciai del Quaternario ed il conseguente movimento tettonico ci ha consegnato un vallone glaciale a più gradoni, quasi un relitto da rinverdire con le viti, i lecci e gli ulivi, protetti dalle pareti a piombo sul fondo valle. Rimbalza da destra e sinistra il venticello del Garda, infilandosi attraverso il bus de Vela fino alle soglie di Trento, mentre al lavorìo del fiume Sarca dobbiamo i canyon da Far West e le anse ideali per i pescatori e anche le piste ciclabili. Ma il servizio secolare delle candide rocce glaciali sta nell’azione di riflesso dei raggi del sole in un formidabile effetto moltiplicatore della fotosintesi clorofilliana. Si capisce perché in valle dei Laghi il 75 per cento della popolazione a fine Ottocento era impiegata a coltivare ogni ben di Dio. E ancora oggi, non si trova un ettaro incolto. A parte un cementificio e la centrale idroelettrica di Santa Massenza (peraltro molto interessante da visitare all’interno), la valle è rimasta intoccata dallo sfruttamento industriale come se fosse stata idealmente protetta dai sette castelli sorti nel Medioevo in linea l’uno contro l’altro, da Madruzzo fino alla rupe di Arco. Anche per questo in valle dei Laghi si trovano alcuni prodotti davvero doc: il famoso Vino Santo Trentino, in produzione forzatamente limitata, spremuto proprio in questi giorni di Pasqua dalle uve nosiola con un rituale che affonda nelle radici religiose di questo territorio. O le ricercate mele di mezza montagna, o i cavolfiori di Santa Massenza e poi l’olivo insieme al leccio, al loro limite in assoluto più settentrionale. Da quando i contadini trentini, lasciato l’impero austroungarico, han cominciato a puntare sulla forma cooperativa (Casse Rurali e Consorzi Agrari sono ultracentenari) per valorizzare la loro fatica, hanno consolidato un’identità di valle da investire a fini turistici: dal primo comitato "di valorizzazione" sorto nel 1965 alle serate culturali di questi mesi sul "Divin nosiola" si è amplificato il richiamo turistico per una clientela italiana e straniera che apprezza agriturismo e cantine, distillerie e campi curati come giardini. L’anima cooperativa più genuina, da non piegare alle tentazioni del mercato, è difesa dagli anziani saggi della valle che in archivio ci mostrano una singolare testimonianza del 1834, il rapporto di un ispettore dell’impero austroungarico sulla valle dei Laghi: «la salubrità dell’aria, la dolcezza del clima, la frequente e vicina comunicazione con Trento e colle Riviere del Garda influiscono sulla svogliatezza di questi abitanti. Sono agili, robusti, avvezzi ad una vita frugale e laboriosa ed in generale d’animo franco e di buona fede». In più, si aggiungerebbe oggi, questi trentini fortunati possono accompagnare il turista dentro una sorta di macchina del tempo. A partire dalla rarità geologica delle Marocche – i cumuli di grosse pietre franati su un’area di 12 chilometri – fino al recente ritrovamento sul monte Anglone delle impronte dei dinosauri riconosciute dai ricercatori del Museo tridentino di Scienze Naturali. E poi l’antica strada romana nella valle sospesa di Cavedine (estensione laterale della valle dei Laghi, sotto le cime del Bondone) con testimonianze archeologiche di un passaggio molto battuto anche nel Medioevo come dimostra il sistema degli avamposti castellieri. Terra di emigrazione nell’Ottocento, oggi la valle dei Laghi accoglie senza timori nuovi cittadini, imparando a valorizzare le braccia e le culture straniere. L’ospitalità qui è ancora praticata come una virtù: lo conferma il sorriso dei ragazzini indiani e moldavi, figli degli operai tranquillamente accasati presso la storica pescicoltura di Pietramurata, nel cuore di una valle fortunata.
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