mercoledì 16 dicembre 2015
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Storie di ordinaria follia che arrivano dal mondo del calcio. L’ultima è quella che riguarda Nizar Trabelsi, attaccante tunisino di Sfax, classe 1970, che da ex terrore dei difensori del campionato nordafricano e poi anche in Europa, un giorno decise di diventare un terrorista dell’esercito islamico di al-Qaeda. Dai campi di calcio della Bundesliga a quelli di battaglia in Afghanistan in nome del jihad: questa la parabola – nera quanto la bandiera dell’Is – che ha percorso il feroce Trabelsi. Dopo che la Corte europea dei diritti umani l’ha considerata irregolare e stabilito un risarcimento di novantamila euro all’ex calciatore, domani verrà ridiscussa la sua estradizione negli Stati Uniti. Un capitolo peculiare nella vicenda del talento tunisino che giovanissimo – su segnalazione di un osservatore che lo vide giocare nel club in cui era nato e cresciuto, il Cs Sfaxien – si trasferì in Belgio, allo Standard Liegi. Un passaggio fugace in Pro League, per approdare in Bundesliga: al Fortuna Düsseldorf, stagione 1989-1990. Ma la giovane promessa, dalla chioma riccioluta che rimanda tanto a quella dello juventino Cuadrado, non mantiene le aspettative. Pochi numeri, pochi gol e tanta delusione da parte dei dirigenti tedeschi che avevano puntato su di lui.Dopo un paio di annate vissute tra la panchina e la tribuna inizia la discesa nelle società periferiche. Non funziona neanche al Wuppertaler e così precipita nei campionati regionali, al Neuss. Il sogno calcistico finisce qui, il professionista arrivato dalla Tunisia carico di speranze scompare nel più opaco dilettantismo. Per Trabelsi affiora l’incubo del fallimento, contro il quale si difende cedendo a una vita scellerata dedita all’alcol e le droghe. Vizi che nell’ultima fase da atleta lo fanno pizzicare positivo all’antidoping. Squalificato, inizia a vagare alla ricerca del suo calcio perduto e fatale fu l’incontro con il famelico Tarek Maaroufi: il primo cittadino belga a perdere nel 2009 la nazionalità per «condotta delittuosa». Una condanna che in Belgio non veniva emessa dai tempi della Seconda guerra mondiale.Fu proprio Maaroufi a presentarlo ad Abou Qatada e Abou Hamza, che in seguito l’Fbi segnalò come intermediari dell’organizzazione al-Qaeda in Europa. Uomini vicini al grande capo Osama Benladen (ucciso dalle truppe americane il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, Pakistan) che, secondo una testimonianza dello stesso Trabelsi durante il processo, gli disse di chiamarlo «papà» e di «affidarsi a lui per qualsiasi cosa». Era ancora sotto la stretta protezione di Benladen, quando il calciatore tunisino tornato nel frattempo in Belgio venne arrestato. Era il 13 settembre 2001, due giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York. L’accusa contro quel ragazzo sbarcato in Europa per cercare fortuna con il pallone era gravissima: fermato perché stava preparando un attentato contro la base americana di Kleine-Brogle (Belgio). Ritenuto colpevole nel 2003 viene condannato a dieci anni di prigione. Nel 2013 il colpo di coda che ha riportato Trabelsi sotto la luce dei riflettori, e non quelli di un campo di calcio: gli Stati Uniti ottengono la sua estradizione e tramutano la condanna in ergastolo. Il ricorso alla Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione e domani si aspetta il fischio finale per questa strana sfida nella quale, comunque vada, Trabelsi uscirà sconfitto.
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