martedì 15 luglio 2014
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«Ad un anno dalla scomparsa del senatore a vita Giulio Andreotti, è sembrato doveroso ricordare il legame con Paolo VI, attraverso alcune lettere e scritti che i due si sono scambiati, in particolari momenti del loro servizio alla Chiesa e alle Istituzioni». È con queste parole che monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Casa pontificia, presenta ai lettori un prezioso volumetto che raccoglie lo scambio epistolare tra lo statista democristiano mancato il 6 maggio di un anno fa e il Pontefice che verrà beatificato il prossimo 19 ottobre.L’agile testo – Andreotti e Paolo VI. Il primato della qualità (Viverein, paigne 90, euro 18,00) – raccoglie lettere e biglietti vergati tra il 1964 e il 1976 tenendo come filo conduttore – spiega l’autore nella presentazione – «il “ritratto” di Paolo VI che Andreotti traccia in A ogni morte di Papa». L’opera non è, né vuole essere, un lavoro storico-scientifico, ma ha il valore di una testimonianza tesa a «sottolineare il rapporto “familiare” tra il Papa e l’uomo politico». Un rapporto nato nelle file della Fuci e continuato per quarant’anni fino agli ultimi giorni della vita terrena del Pontefice. Con Montini che, nel Natale 1974, approfitta degli auguri per esprimere al primogenito di Andreotti, Lamberto, fresco di laurea in ingegneria, «felicitazioni e voti validi, se Dio li esaudisce, per tutta la sua vita, saggia, forte, fedele».Il libro di Sapienza contiene anche un interessante scambio di lettere dell’autunno 1948 tra Montini sostituto della Segreteria di Stato e il giovanissimo Andreotti (29 anni) sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Interessante non solo per l’oggetto delle due missive – la figura del “sacerdote” che per il Vaticano era bistrattata nella produzione cinematografica dell’epoca – ma per il modo in cui un giovane laico cattolico rispondeva ad un’alta autorità della Santa Sede, con un tono molto rispettoso nella forma ma nel merito altrettanto chiaro nel ribadire le buone ragioni del proprio agire politico.Tornando ai biglietti di auguri è interessante quello del 1973, che pubblichiamo integralmente in pagina, in cui Andreotti si professa particolarmente commosso per l’“infelicità” espressa dal Papa durante una visita nel quartiere romano di Acilia. Per certi versi drammatiche sono poi le parole che papa Montini rivolge al politico democristiano in occasione del Natale 1969, quando è ormai chiaro che in Parlamento si sta formando una maggioranza che introdurrà il divorzio nelle legislazione, come avverrà effettivamente nel dicembre dell’anno successivo. Paolo VI in questo biglietto «confidenziale», confessa di non poter trovare «conforto all’amarezza» che lo «affligge profondamente per la grande ferita, inflitta all’inviolabile norma umana e cristiana circa la stabilità e santità della famiglia, dalla ormai incombente legislazione d’un Paese, come l’Italia, così segnato dalla vocazione di fedeltà alla lex naturae e alla lex gratiae, per il bene e per l’amore del suo Popolo e per l’esempio classico e moderno agli altri Popoli della terra». «Cresce il mio dolore – prosegue Paolo VI – a vedere che tocca proprio a testimoni insigni della sociologia cristiana, ora al vertice della responsabilità politica, avallare l’offesa». All’epoca infatti era in sella un governo monocolore Dc guidato da Mariano Rumor e con Aldo Moro agli Esteri.Significativo poi il biglietto di auguri del Natale 1965 in cui papa Montini esprime «compiacenza per la degna commemorazione» fatta da Andreotti del «predecessore Pio XII, di venerato ricordo». Il 9 dicembre di quell’anno infatti Andreotti, all’epoca ministro della Difesa, rispondendo anche alle incipienti polemiche sul ruolo avuto dal Papa durante la guerra, aveva tenuto un «doveroso omaggio» alla memoria di papa Pacelli sottolineando «la sua costante azione a favore della pace».Il prezioso volumetto si chiude con la ripubblicazione di due interviste di Andreotti. Proprio in una di queste si trova la frase che ha offerto il titolo alla fatica di monsignor Sapienza. Laddove lo statista diceva: «Dobbiamo a Montini l’educazione al primato della qualità, a non ricercare ad ogni costo risultati immediati, ad avere un grande rispetto per chi non la pensa come noi, a sentire il fascino di un impegno politico come autentica vocazione cristiana». Parole di una urgente attualità. «Rileggendo questi testi di Paolo VI e di Andreotti – commenta Sapienza – quanto avrebbero da imparare quelli che si impegnano oggi in politica!».
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