domenica 5 marzo 2017
Nell'ultimo giorno del convegno "Musica e Chiesa" a Roma una riflessione a più voci sulla necessità della formazione e sulle possibilità di sperimentazione
Il coro della diocesi di Roma

Il coro della diocesi di Roma

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La necessità della formazione è tornata come un refrain nelle prime due giornate del convegno “Musica e Chiesa”. E al tema della formazione è stata dedicata la mattinata di sabato (conclusasi con l'udienza del Santo Padre), aperta da Vincenzo De Gregorio, preside del Pontificio istituto di Musica sacra. «Nella storia della Chiesa la musica ha un ruolo privilegiato perché non è fatta per sé ma è strumento di comunicazione della parola di Dio. È dunque un ministero. E un ministro non può essere una figura improvvisata, ma necessita di una formazione». Una «educazione della mente e del cuore» che la Chiesa nei secoli ha sempre perseguito «attraverso la fedeltà alla storia e la fedeltà alla missione».

Sono i due binari su cui De Gregorio costruisce il suo discorso: «La Chiesa non è mai stata immobile. Lo stesso gregoriano, da cui sgorga tutta la musica occidentale, è frutto di relazioni secolari». Se la tradizione è plasticità, «la Chiesa ha espresso in musica l’annuncio del Vangelo perché ciò che è sacro non può essere detto per mezzi ordinari». Come essere allora fedeli oggi alla storia e alla missione? «In Europa non esiste un problema della musica nelle Chiese nei Paesi dove la musica è insegnata a scuola. Esiste invece dove, come in Italia, la musica è esclusa dalla formazione ordinaria del cittadino ».

Una carenza che si riverbera sul clero: «L’assenza della formazione musicale nelle facoltà teologiche e nei seminari italiani è una lacuna gravissima». Ci sono però anche casi che deragliano dai binari: «La prassi della Chiesa occidentale è stata sempre inclusiva. Nei movimenti invece assistiamo una autoreferenzialità che appiattisce i linguaggi e affoga nella banalità». Dall’altro lato ci sono i tradizionalisti che «si identificano con la liturgia preconciliare. Ma non capiscono che il carattere della musica che vorrebbero far rivivere è sviluppo e progresso». «Il coro è strumento per la preghiera, alimenta la pietà dei fedeli, dà coerenza alla liturgia. Fa parte dell’assemblea ma ha una posizione particolare», dice Henri Chalet, maestro del coro a Notre-Dame di Parigi: «Nei canti con l’assemblea scegliamo melodie che possano essere arricchite progressivamente con controcanti e armonie».

Il coro ha un ruolo pedagogico. «Interno, innanzitutto: spesso è supporto e fonte di scoperta della fede. Ma migliora anche la capacità di ascolto dell’assemblea». Lo spagnolo padre Daniel Escobar ha esaminato la nuova Ratio fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, del 2016, “documento quadro” per la formazione di diaconi e presbiteri. «In questo testo la musica sacra è indicata come strumento pastorale nel mondo di oggi. Rispetto alla Ratio del 1970, che la situava nella cultura generale, c’è l’inclusione della musica nelle materie ministeriali. È un cambio di paradigma». Per padre Escobar con gli aspiranti sacerdoti è essenziale: «Si deve insistere sullo stretto vincolo che fin dall’origine della fede c’è tra canto e celebrazione, risposta agli eventi salvifici».

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